Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

lunedì 22 novembre 2010

Innovazione e musica popolare americana - 1

Assodato che il vantaggio competitivo nei mercati attuali è spesso caratterizzato da un efficace rapporto dell’azienda col concetto di innovazione, esaminiamo rapidamente il processo che ne valida i presupposti: la creatività.
Nella definizione classica di Henri Poincaré (1854-1912) "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili". Si tratta in sostanza di vedere la realtà con occhi diversi, scoprendo legami nascosti e punti di vista alternativi, con occhio vigile al contesto. Nel mondo del business questo significa che il processo creativo che sfocia in innovazione di prodotto o servizio non può essere fine a se stesso ma deve tener conto dei bisogni del cliente, da interpretare e anticipare. Si tratta cioè di stabilire una relazione tra risorse a disposizione e domande che provengono dai mercati.
La storia della musica popolare americana illustra bene il caso.
Fino al primo decennio del Novecento la produzione musicale si presenta come un crogiolo di influenze e di elementi indistinti relativi agli apporti specifici delle culture di provenienza delle comunità linguistiche presenti sul territorio (afroamericani, inglesi, irlandesi, francesi, tedeschi).
Le melodie sono patrimonio di tutti (non si conoscono gli autori) mentre i testi vengono adattati alla realtà locale. La funzione della musica popolare è eminentemente sociale, cioè è quella di aggregare la comunità attorno a un elemento di svago per rafforzare l’identità di gruppo.
Gli esecutori sono solisti itineranti (vagabondi-bohémien) o compagnie viaggianti (minstrel show, tent show). Elementi che oggi definiremmo “bianchi” e “neri” si fondono in un unico amalgama sonoro e interpretativo. Le canzoni parlano di religione, lavoro, fuorilegge, diritti civili, patria, amore, viaggi, catastrofi naturali.
Negli anni Venti accade che il miglioramento delle tecniche e dei supporti di registrazione promuove la nascita e lo sviluppo del mercato discografico. Le conseguenze sono fondamentali: per gli artisti ad esempio nasce il concetto di diritto d’autore,  mentre la durata di un brano viene vincolata da esigenze tecniche di registrazione e poi radiofoniche. Cambia, e per sempre, il rapporto con la musica da parte dell’ascoltatore: all’aspetto sociologico della fruizione si affianca quello puramente estetico.  Questo fatto apre agli editori enormi possibilità di guadagno: se in passato con le edizioni a stampa la musica era prerogativa dei soli musicisti, oggi con le incisioni in gommalacca e poi in vinile il business della musica si allarga ai semplici ascoltatori favorendo la nascita di una vera e propria industria del disco che, Grande Depressione permettendo, godrà di buona salute fino a fine secolo.
Assecondando l’esigenza di spremere il mercato e applicando il principio secondo il quale diversificando l’offerta si aumentano le vendite, le case discografiche “inventano” quelli che oggi chiamiamo i generi musicali, esasperando gli apporti parziali delle singole comunità culturali e razziali. Nascono così le forme che oggi, ma troppo sbrigativamente, reputiamo “tradizionali” del blues e del country: si riferiscono a pubblici diversi e sono valutate in specifiche e distinte classifiche di vendita (secondo l’orrenda definizione di race records).
Un ulteriore passo avanti avviene negli anni Cinquanta, quando i discografici si ingegnano per scovare una musica in grado di riattraversare le barriere razziali: è ciò che accadrà con il rock’n’roll. Elvis Presley è un bianco che canta come un nero, Chuck Berry un nero che canta come un bianco: con il rock’n’roll il blues si ripulisce, il country si sporca, i ritmi si accelerano, i volumi si alzano, le star vivono al limite e si crea un circolo virtuoso tra esigenze commerciali e sperimentazione.
Per alcuni anni innovazione di prodotto ed esigenze di mercato sembrano rispondersi senza sforzo.
Negli anni Sessanta poi i generi musicali riprendono a specializzarsi, appoggiandosi alla lezione del r’n’r: nascono così il country rock, il blues rock e si gettano le basi del soul e del funky.
Verso la metà del decennio i gruppi inglesi (la cosidetta British Invasion) dimostrano di aver imparato la lezione d’oltreoceano e, partendo da una rilettura tecnicamente aggiornata dei classici del blues, si spingono fino all’invenzione dell’hard rock con Cream e Led Zeppelin. Successivamente la musica si diversifica in ulteriori sottogeneri: dalla psichedelica dei Pink Floyd al rock progressivo dei Jethro Tull, dal glam di David Bowie fino all’arrivo dell’ondata punk, che dalla seconda metà degli anni Settanta con Ramones, Sex Pistols ecc. rivoluzionerà  il mercato all’insegna dell’immediatezza espressiva.
La cosa incredibile – e qui sta la lezione per i manager – è che sotto il profilo strettamente compositivo e quindi della creatività vera e propria la storia della musica popolare americana si può spiegare tutta a partire da una struttura armonica di base di tre accordi (costruiti sul  I, IV e V grado della scala) sui quali – in virtù dell’evoluzione del gusto, dei costumi e della tecnica – la sensibilità degli artisti ha potuto esercitarsi ricombinando in maniera sempre diversa il materiale preesistente.
La musica insegna che non esiste innovazione senza tradizione e insegna alle aziende che il patrimonio culturale di un marchio, lungi dall’essere un peso vincolante verso il passato, si configura come la base indispensabile per l’innovazione di successo, il cui processo si può riassumere così: rivoluzione nella continuità. Sul piano musicale Bob Dylan in USA e i Beatles in UK sono forse i massimi interpreti del concetto di rivoluzione nella continuità:  Dylan ha saputo coniugare l’impegno e la poesia del folk con l’impeto del rock, definendo il modello di ciò che oggi chiamiamo canzone d’autore; i Beatles invece hanno saputo innestare un gusto innato per la melodia su generi musicali per convenzione piuttosto poveri di questo elemento, indicando la possibilità di far convivere lo sperimentalismo con la commerciabilità del prodotto finale.
La storia della musica popolare americana si svolge all’insegna del dialogo tra pubblico, compositori e tecnologia. Traslando la metafora nel mondo aziendale tutto questo significa interazione costruttiva tra consumatori-ricerca & sviluppo-sales & marketing e dimostra la praticabilità e l’efficacia di una visione sistemica del business, che accoglie e coltiva con pari dignità stimoli interni ed esterni senza pregiudizi e con spirito pratico, mantenendo un forte orientamento sia al compito che alla relazione.

mercoledì 3 novembre 2010

Leo Fender e la chitarra elettrica solid body - 2

Nel 1954 Leo Fender inizia a commercializzare un nuovo modello di chitarra elettrica solid body, la Fender Stratocaster, che innova rispetto alla Telecaster sotto il profilo estetico e tecnico.
Sul piano estetico viene privilegiata l’ergonomia: il corpo viene scavato nel profilo posteriore alto affinché sia più anatomico e cioè aderente al ventre del chitarrista, il manico viene profilato in modo più accurato, anche la spalla superiore del corpo viene scavata e ciò slancia la forma della chitarra che ora prende le sembianze di un oggetto in movimento, alla fine del manico viene sistemata una nuova paletta che ricorda da vicino il prototipo di Paul Bigsby. Sul piano tecnico la Stratocaster viene dotata di un terzo pickup in posizione centrale per aumentare la gamma sonora e viene innestata la leva del vibrato direttamente sul ponte a sua volta tenuto in stabilità da un gruppo di molle poste sulla schiena della cassa, infine viene aggiunto un ulteriore controllo di tono.
Sotto il profilo dell’innovazione sembra che con la Stratocaster si sia ritornati a prassi più normali, vale a dire che a un notevole breakthrough tecnologico fanno seguito costanti miglioramenti suggeriti dall’uso degli endorsers e degli appassionati. In realtà anche in questo caso avvengono fatti rilevanti e inaspettati.
Se da un lato la Fender Stratocaster finisce sulle enciclopedie di design come esempio di bello stile artigianale, dall’altro sono i musicisti stessi a spiegare a Leo Fender cosa era stato in grado di progettare. La Stratocaster ad esempio si rivela uno strumento estremamente versatile e dalle possibilità espressive che sembrano dilatabili all’infinito: dai suoni squillanti di Buddy Holly a quelli riverberati e vibrati di Hank Marvin per arrivare alle distorsioni lancinanti di Jimi Hendrix occorrono solo quindici anni, un periodo durante il quale la nuova creazione di Leo Fender contribuisce all’evoluzione stilistica del chitarrismo elettrico, favorendo esplorazioni sonore  e sperimentazioni che vanno dalla musica psichedelica (Dave Gilmour)  all’hard rock (Ritchie Blackmore), passando per il blues (Buddy Guy), il blues rock (Eric Clapton, Rory Gallagher), country rock (Mark Knopfler) fino alla discomusic di classe di Nile Rodgers con i suoi Chic. Altro fatto non secondario e questa volta sotto il profilo del costume: le forme sinuose e vagamente “femminili” della Fender Stratocaster trasformano la chitarra in una metafora sessuale, un oggetto del desiderio sfuggente e difficile da domare, procacciando la nascita della figura del guitar hero, il musicista che “può” dove gli altri nemmeno osano.
Dal punto di vista del marketing e più in generale del business la Fender Stratocaster si rivela come il prodotto perfetto: seducente, evocativo, elegante, ma anche comodo, pratico, versatile e accessibile nei costi. Un mix ideale in grado di attraversare la segmentazione del mercato per farsi abbracciare dai principianti come dai professionisti, regalando la consapevolezza che a fare la differenza sarà la simbiosi che l’esecutore saprà creare con il suo strumento. Proprio questo aspetto, cioè l’idea che il protagonista sarà comunque l’uomo, assecondato di volta in volta negli umori della performance dal servizio della sua Stratocaster, fa della realizzazione di Leo Fender una metafora vincente e sempre attuale del successo da imitare. La Fender Stratocaster è un prodotto equilibrato, misurato, pensato e vissuto, che veste di morbida bellezza le esigenze dei musicisti dando la sensazione di essere costruito su misura per portarli in un mondo a dimensione di sogno.
A ciascuno il suo sogno, oggi meglio di ieri e domani meglio di oggi. E allora (ma c’è bisogno di chiederlo ai nostri manager?), parafrasando un nota battuta del gergo del marketing, si vende la chitarra elettrica o il suono perfetto?
Il mancino Jimi Hendrix imbraccia una delle sue Fender Stratocaster sul palco di Woodstock (1969)

martedì 2 novembre 2010

Leo Fender e la chitarra elettrica solid body - 1

Leo Fender è stato il più importante progettista e costruttore di chitarre elettriche del XX secolo. A lui spetta il merito di aver trovato il modo di industrializzare la produzione di chitarre elettriche a corpo solido (solid body).

Nel secolo scorso l’evoluzione tecnica della chitarra così come il suo mercato di riferimento ha seguito passo a passo le esigenze dei musicisti. Le accresciute dimensioni delle sale da concerto e da ballo, l’impiego di organici strumentali sempre più vasti e fragorosi, l’assuefazione a nuovi ritmi e a nuove acustiche prodotte dall’urbanizzazione avevano gradualmente condotto la chitarra verso l’elettrificazione, vale a dire la trasformazione del suono mediante applicazione di un magnete avvolto in un filo di rame (pickup) a sua volta collegato mediante un cavo elettrico a un apparato di amplificazione. La semplice collocazione del pickup in prossimità della buca della cassa di risonanza piuttosto che in uno scasso praticato nella tavola armonica delle chitarre archtop (quelle con due buche a f simili alle casse armoniche dei violini) non risolveva però il grande problema dei concertisti: il cosiddetto feedback acustico, un fischio incontrollato e ingestibile provocato dall’innesco della cassa dello strumento con amplificatori e microfoni. In pratica nel bel mezzo di un’esecuzione la chitarra cominciava a fischiare devastando la purezza dei suoni.
Sul finire degli anni Quaranta per risolvere il problema Paul Bigsby progettò una chitarra a corpo solido (cioè senza la cassa, sostituita da un blocco di legno massiccio) per il musicista country Merle Travis, ma il complicato processo costruttivo non andò oltre la realizzazione del prototipo. Solo poco tempo dopo Leo Fender, facendo tesoro del lavoro di Bigsby, si applicò alla realizzazione di un modello destinato a rivoluzionare la pratica e l’estetica della chitarra elettrica: la Fender Telecaster. La cassa estremamente spartana (qualcuno per dileggio la paragonò a una pala per la neve!), il manico avvitato alla cassa, i tasti  conficcati sulla tastiera a sua volta direttamente ricavata dal manico, la circuitazione elettrica comodamente allocata appena sotto il battipenna, le meccaniche posizionate tutte sullo stesso lato della paletta: tutte caratteristiche che rendevano molto semplici e serializzabili non solo le fasi di assemblaggio dello strumento, ma anche quelle di uso e manutenzione.
Nel volgere di pochi anni la Fender Telecaster (nata col nome di Esquire con un solo pickup in prossimità del ponte, poi Broadcaster con l'aggiunta di un secondo pickup vicino al manico, poi e per ragioni di copyright nella denominazione definitiva Telecaster) divenne un must, stabilendo un benchmark per tutti gli altri costruttori di chitarre elettriche.
A partire dal 1950 possiamo dire che le caratteristiche della chitarra elettrica sono cambiate per sempre, condizionando senza appello col loro potere di fascinazione non meno che con la loro efficacia sonora la storia della musica popolare occidentale. In particolare proprio il marchio Fender ne ha tratto un beneficio determinante, passando in pochi anni da piccolo laboratorio artigianale a multinazionale della liuteria.
Come abbiamo visto si tratta di una storia di successo legata all’innovazione. Ma ciò che in questo caso merita attenzione è che l’innovazione è generata da un mutamento radicale nell’approccio all'argomento. Fino ad allora e per secoli il concetto di chitarra sembrava non poter prescindere dal fatto che lo strumento dovesse possedere una cassa di risonanza per produrre il suono: con l’invenzione della chitarra a corpo solido invece si assiste a una vera e propria rivoluzione di pensiero perché il concetto stesso di chitarra viene reimpostato  aldilà dei preconcetti della tradizione e, partendo dalla chiara definizione di un problema, rivela che l’ingegno dell’uomo è in grado di procedere e fare la differenza ancor più attraverso potenti intuizioni non meno che per miglioramenti a piccoli passi.
Questo è il messaggio che Leo Fender regala a tutti i manager che, pur consapevoli che innovazione equivale oggi a vantaggio competitivo, faticano ad evadere dagli schemi consolidati e ormai inefficaci delle proprie aziende e invocano metafore semplici e convincenti per guidare il cambiamento.

La main guitar di Bruce Springsteen: risale agli anni Cinquanta ed è nata dall'assemblaggio del corpo di una Fender Telecaster con il manico di una Fender Esquire