Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

venerdì 21 ottobre 2011

La mela di Steve Jobs

Le biografie degli imprenditori costituiscono quasi di regola un pessimo esempio di letteratura manageriale: pubblicate a ridosso di eventi eccezionali (come la morte del protagonista), il più delle volte sfruttano l’emotività del momento ed annacquano i fatti con l’agiografia.
La vicenda di Steve Jobs non fa eccezione: nella percezione comune è ormai un benefattore dell’umanità, che ha cambiato per sempre le nostre vite. La mia idea è invece quella che sia un imprenditore, molto più geniale della media, ma con tutte le caratteristiche degli imprenditori: senso del rischio, visione chiara, interesse per il profitto.
Ha intelligentemente saputo commercializzare idee già note, centrando i gusti del mercato e trovando la chiave per rendere di massa un business che prima afferiva a una nicchia di specialisti, ma da lì a dire che ha migliorato le nostre vite ce ne corre.
Possiamo dire, in via molto generale, che ha facilitato l’accesso alle informazioni, ma non ne ha migliorato la qualità. Mi spiego meglio: le soluzioni della Apple sono contenitori raffinati e utili, ma di per sé non incidono né sui loro contenuti né sulle capacità di discernimento dei consumatori. Il caso dell’iPod è esemplare: la facilità di accesso ai cataloghi musicali non ha certamente permesso la formazione di una generazione che capisce di musica. Anzi, ha diseducato all’ascolto, facendo della musica un sottofondo per altre attività, dove, in assenza di credits, si perde il rapporto con l’artista e l’artigianalità del prodotto a favore di un consumo rapido e spesso nevrotico (non importa che musica ascolti, l’importante è che la ascolti con l’iPod).
I prodotti della Apple rappresentano le nuove dipendenze: la società occidentale è in preda a una psicosi collettiva per cui non si può vivere senza iPod, iPhone, iPad.
Ma di fatto quale uso si fa di questi strumenti? Tremendamente di massa e individualistico: una mole esorbitante di piccoli sfizi quotidiani, ma di perfezionamento personale neanche l’ombra. Così la portata della Apple risulta essere molto più un caso aziendale di successo che segna con forza una svolta di mercato (come fecero ad esempio la Citizen e la Casio per gli orologi digitali e la Swatch per gli orologi al quarzo) e molto meno una tappa fondamentale del progresso umano. Perché le rivoluzioni si fanno sui contenuti e non sulle forme: un conto è scoprire un vaccino o inventare la coltivazione intensiva, un altro è applicare il mouse al computer o leggere un libro su supporto elettronico.
Nella magnificazione dell’imprenditore Steve Jobs ci vedo purtroppo questo: la rassegnazione dell’occidentale medio che, ormai convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili, fa coincidere il benessere con la comodità e la realizzazione con il prestigio di possedere qualcosa che fa tendenza.
Pare inoltre che l’uomo Steve Jobs non fosse un soggetto facile – scarsa capacità di relazione interpersonale, sfruttamento di mano d’opera a basso costo, nessun interesse per la responsabilità sociale – che nemmeno il presagio della morte ha reso più sensibile. Il famoso discorso di Stanford però, aldilà del pathos del momento, resta un invito a trovare se stessi che non lascia indifferenti, se si pensa che è stato pronunciato da una persona adottata, che ha abbandonato la scuola e si è fatto da solo senza farsi abbattere dalle difficoltà.
In definitiva, penso che la figura di Steve Jobs debba essere riportata alla sua dimensione più consona, che sottolineo essere quella imprenditoriale: la figura di un uomo d’affari che ha saputo interpretare il suo tempo, coniugando la microtecnologia con il design e il branding per mutare a suo favore i paradigmi del consumo di massa.
Una mela, quella della Apple di Steve Jobs, meno succosa di quella di Adamo ed Eva o di quelle di Isaac Newton e dei Beatles, ma irresistibilmente attraente.

Loghi aziendali: la mela di Steve Jobs e la mela dei Beatles