Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

giovedì 29 dicembre 2011

Yes I Am - Un anno dopo

Alla fine del 2010 avevo dedicato alcuni post a Yes I Am, il progetto musicale legato alla cultura aziendale promosso dall’azienda per cui lavoro e realizzato in collaborazione col CPM Music Institute di Franco Mussida. Trascorso un anno, è opportuno tracciare un bilancio complessivo dell’evento.
I club Virgin Active presso cui il cd di Yes I Am era in vendita hanno realizzato circa 20.000 euro di fatturato (quasi 4.000 copie vendute) da devolvere in beneficenza a Virgin Unite, la società di fund raising del gruppo Virgin.
Il video nel mese di dicembre 2010 è stato trasmesso sulla homepage di Repubblica.it e successivamente è stato inserito nella homepage di Virgin Careers, il canale tematico del gruppo Virgin presente su Youtube, dove tuttora fa bella mostra di sé.


Il progetto è stato illustrato nell’estate 2011 durante un incontro di HR Community Academy (la principale community che riunisce i direttori Risorse Umane delle aziende presenti sul territorio italiano) come testimonianza originale e coerente di employer branding. A ottobre 2011 è stato premiato dalla stessa organizzazione come best practice di recruiting e selezione.
Il progetto è stato segnalato in U.K. alla sede generale del Virgin Management Group ed è stato premiato il 20 settembre in occasione della Star of the Year 2011 (cerimonia annuale in cui il brand internazionale celebra i suoi successi) con grande soddisfazione del sottoscritto che si è presentato alla notte di Londra insieme al suo collega Marco Cerutti, il curatore di tutti gli aspetti organizzativi di Yes I Am.


La cerimonia, che si è svolta alla presenza di Sir Richard Branson e della sua famiglia, si è tenuta nel roof garden di Kensington Road, un posto incantevole di proprietà del gruppo Virgin ed ha visto riunite le rappresentanze delle principali società del gruppo (da Virgin Atlantic a Virgin Mobile, da Virgin Money a Virgin Limited Edition ecc.): buon cibo, buona musica e buona conversazione.
Marco ed io abbiamo poi concluso la nottata dalle parti di Soho dove in un club, sorseggiando una pinta della mitica birra London Pride, abbiamo ascoltato un power trio rock di giovani musicisti molto bravi che svisavano dagli AC/DC ai Killers.

Piero e Marco tra sir Richard Branson e sua figlia Holly
Credo che un aspetto da non sottovalutare di Yes I Am sia proprio la visibilità e il contatto che ha creato all’esterno dell’azienda. Si tratta di un segnale molto positivo su cui riflettere. Le aziende, soprattutto nei periodi di crisi, tendono a somatizzare le apprensioni e a chiudersi in se stesse ancora di più di quanto non siano abituate a fare, ma così facendo si perdono i vantaggi del confronto e la possibilità di trovare spunti di lavoro in organizzazioni che si credevano diverse e invece sono attraversate da vicissitudini simili. Nel corso delle presentazioni del progetto ho potuto constatare di persona gli sguardi dei miei colleghi di altre aziende passare dallo scetticismo/incredulità all’approvazione entusiasta e ancora una volta ho avuto la conferma che su troppi luoghi di lavoro ciò che manca non è l’intelligenza, ma la passione e la spontaneità.
E ciò che è peggio è che ci si rassegna a questo: ho il sospetto che il pessimismo della ragione riesca a mietere più vittime delle crisi finanziarie.

martedì 20 dicembre 2011

Politica italiana - I Fought the Law

Le recenti vicissitudini della politica italiana suggeriscono una metafora grottesca.
Immaginiamo l’Italia come una grande azienda in cui tutti i contribuenti-lavoratori sono anche i consumatori dei beni che essa produce. L’azienda Italia, che per ragioni di employer branding ha sempre vissuto al di sopra delle sue possibilità, si trova messa alle strette dai creditori e deve attuare un piano d’emergenza per salvarsi la pelle (la faccia l’ha persa da tempo). Il consiglio di amministrazione, quasi unico al mondo ad avere un Presidente senza poteri, non potendo più nascondere l’incapacità-irresponsabilità-immoralità di una classe politica-dirigente che ha cercato per anni di occultare la realtà dei fatti economici poggiandosi su un apparato di marketing e comunicazione estremamente kitsch, preme affinché la suddetta classe si faccia da parte per un po’ (niente licenziamenti: le buonuscite sarebbero troppo onerose e compromettenti) e la sostituisce con un manipolo di grigi e reversibili manager della crisi: quei preziosissimi individui che ovunque li metti fanno le stesse cose senza guardare in faccia a nessuno. Non hanno tessere in tasca, ma se sono giunti fin lì da quasi perfetti sconosciuti all’opinione pubblica, qualche conoscenza l’avranno pure avuta.
Poverini i nuovi arrivati, non hanno nemmeno il tempo di predisporre strategie di crescita e sviluppo: i creditori hanno fretta, sono stanchi di essere presi in giro e sono molto abili nel seminare il panico tra i contribuenti-lavoratori.
Così i nuovi manager della crisi adottano la soluzione più rapida: i mitici tagli al personale. Riduzione della spesa mediante razionalizzazione dell’impiego pubblico? Ma no, cosa andate a pensare! Qui si fa metafora e quindi per tagli intendiamo ridurre il potere d’acquisto dei consumatori-lavoratori a cui viene aumentata la pressione fiscale (dall’IMU all’IVA). E già che ci sono li prendono anche in giro: prima promettono di liberalizzare la vendita dei medicinali di fascia C – fatto che avrebbe comportato la creazione di posti di lavoro e l’abbassamento dei prezzi – e poi ritirano la proposta per le “pressioni pazzesche” (così le ha definite il ministro dello sviluppo) delle lobby (che poi sarebbero i titolari di farmacia, categoria che non credo essere famosa per il peso politico). Viene ritirata anche la proposta di liberalizzare le licenze dei taxi sotto pressione dell’altrettanto incredibilmente potente lobby dei taxisti  (a proposito, se siete a Roma al di fuori delle mura aureliane può succedere che il vostro taxi arrivi 40 minuti dopo la chiamata o che non arrivi del tutto, mentre se siete a Fiumicino e dovete andare a Ostia potete ritenervi fortunati se trovate qualcuno vi ci porta).
E via così di contraddizione in contraddizione, coi contribuenti-lavoratori sempre più vessati e sotto ricatto occupazionale e la classe politica-dirigente sempre più intoccabile e privilegiata.  Proprio quest’ultima, tra l’altro, al momento opportuno farà in modo si screditare l’operato dei manager della crisi e utilizzerà i suoi motivatori aziendali (Vespa, Vinci, Signorini, De Filippi, D’Urso, Marcuzzi, Panicucci, Toffanin ecc.) per convincere i contribuenti-lavoratori che in fondo in questa azienda non si sta poi così male e comunque dalle altre parti è peggio.
Tutto questo mi fa ricordare una vecchia canzone di Sonny Curtis dei Crickets, reinterpretata in numerose versioni tra cui spicca quella di Joe Strummer e i suoi Clash (1979): I Fought the Law.

Spaccando pietre sotto il sole bollente
Ho combattuto la legge e la legge ha vinto
Avevo bisogno di soldi perché non avevo nulla
Ho combattuto la legge e la legge ha vinto.

Joe Strummer e la sua Fender Telecaster
Dopotutto l’ha detto anche il capo dei casalesi che lo Stato vince sempre, ma poi chi se ne frega: hanno trovato la bara di Mike Bongiorno e quindi: allegria! Poi tra poco ci sarà il capodanno e finalmente potremo fare il trenino con una musica nuova: non più la solita samba trita e ritrita, ma la mirabolante Ai se eu te pego di Michael Telò (ma chi cavolo è?) così ci sentiremo tutti fighi come Pato del Milan.
Ora, non dico “Ridateci Joe Strummer” –  che sarebbe troppo –  ma almeno “Ridateci Pelé”!

mercoledì 14 dicembre 2011

Musica rock e customer experience

Ormai da alcuni anni consulenti e formatori aziendali invitano la popolazione aziendale ad appropriarsi del concetto di customer experience, che rispetto al customer service porta a una serie di approfondimenti significativi. Se nella concezione consueta ci si concentra su come si eroga una prestazione, con la customer experience si crea il focus su ciò che il cliente prova mentre sperimenta il servizio. È infatti l’esperienza a determinare il valore di un servizio, non il servizio in sé: lo stesso caffè bevuto in una stazione ferroviaria e in piazza San Marco a Venezia avrà un prezzo sensibilmente diverso proprio perché i contesti ispirano contenuti differenti, con l’approvazione del cliente che è spontaneamente portato a cogliere e giustificare la differenza tra valore d’uso di un bene/servizio e suggestività del vissuto.
Detto questo, possiamo arrivare a definire la customer experience come la capacità di un’azienda di coinvolgere emotivamente il cliente facendogli vivere un’esperienza che sia personalizzata, memorabile, di cambiamento. Quanto più questi concetti saranno sviluppati e tanto più il valore giustificherà il prezzo.
I musicisti rock sono stati tra i primi a capire l’importanza della customer experience, pur senza bisogno di apparati teorici.
Perché un concerto rock può permettersi di costare anche più di dieci  volte il prezzo di un greatest hits? Perché soddisfa esigenze diverse. Se infatti nel caso della compilation si appaga la percezione estetica, nel caso del concerto si crea un contatto quasi fisico col pubblico che rende il momento unico, da ricordare, tramandare e associare a un particolare momento di vita e spesso crea la forte sensazione di uscirne rigenerati e trasformati. In più il concerto rock assume il significato di testimonianza aggregativa di una comunità che si riconosce in determinate linee di comportamento e di condivisione di valori, confermando identità e appartenenza. Non sorprende quindi che proprio i musicisti rock abbiano fatto passi in avanti in questa direzione.
Bruce Springsteen ad esempio, accorgendosi dei tanti fan che portavano i bambini ai concerti tenendoli sulle spalle, ha avuto l’idea nel corso dei tour dell’ultimo decennio di farne salire sul palco uno ogni sera per cantare una strofa di Waitin’ on a Sunny Day.


Similmente gli U2 nel corso del loro 360° Tour (2009-2011), hanno più volte ospitato sul palco fan che dalle prime file esponevano un cartello con scritte del tipo: “May I play your guitar?”. Bono, tra lo stupore e l’invidia generale, consegnava la sua preziosissima Gretsch verde metallizzato al fan che accompagnava il cantante in All I Want Is You o in altre ballad .


Un esempio di carattere diverso, ma sempre legato alla customer experience, riguarda l’idea di alcuni produttori di chitarre come Fender e Gibson di realizzare modelli famosi con specifiche modifiche dettate  da guitar heroes e accompagnati dal loro autografo serigrafato o inciso sulla tastiera ( i cosiddetti modelli signature). Questo per far sì che l’aspirante chitarrista viva più intimamente il feeling coi suoi modelli stilistici di riferimento, avvicinandosi alle loro sonorità e al loro approccio allo strumento.

Fender Stratocaster John Mayer signature
Un’altra nota può riguardare la catena internazionale di pub Hard Rock Cafe: qui la consumazione tradizionale diventa un pretesto per sentirsi proiettati in un mondo alternativo creato grazie ai memorabilia rock, che realizza un considerevole upselling con le t-shirt indicanti il logo e il luogo dell’acquisto.

martedì 6 dicembre 2011

Dave Carroll e il customer service

Dave Carroll, un musicista country canadese, nel 2008 è stato protagonista involontario di una significativa vicenda di customer service.
Vola per lavoro da Halifax a Omaha e durante uno scalo intermedio assiste dal finestrino allo sbarco dei bagagli condotto in modo disattento e maldestro dal personale di terra. In particolare vede maltrattare la custodia della sua chitarra acustica (una Taylor del valore di 3.500 dollari) di cui poi scoprirà la rottura netta del manico. Subito protesta tra l’indifferenza generale, passa allora al reclamo ufficiale alla compagnia aerea – la United Airlines – che viene però respinto in quanto presentato fuori tempo massimo (24 ore). Sentendosi preso in giro, prende la geniale decisione di vendicarsi in questo modo: scrive una canzone dal testo esplicito United Breaks Guitar, realizza un video altrettanto chiaro e lo mette su Youtube.


La risposta del pubblico ha dell’incredibile: a un mese dalla pubblicazione (luglio 2009) 5 milioni di persone hanno già visto il video e un anno dopo siamo a 10 milioni di clic. Il fenomeno virale, amplificato dall’interesse della carta stampata, contagia anche la borsa: le azioni della compagnia aerea calano rapidamente e la United Airlines scopre di trovarsi in difficoltà per via di un serio danno d’immagine.
La United Airlines decide allora di presentare le sue scuse ufficiali, dichiarando di voler imparare dalla vicenda: utilizzerà i video di Carroll (che nel frattempo ci ha ricamato una vera e propria saga di tre canzoni) per le sue sessioni di training.
Dave Carroll trae da tutto questo una notorietà inaspettata: i suoi video arrivano a un pubblico ben più vasto di quello confinato negli steccati del country (la settimana successiva alla sua pubblicazione, United Breaks Guitar risulta essere la canzone più scaricata su iTunes Music Store) e diventa un conferenziere molto richiesto dalle aziende per parlare di customer service.
Anche la Taylor Guitars sfrutta il pasticcio a suo favore. Bob Taylor, fondatore e proprietario della benemerita azienda, posta un video su Youtube e sul sito della sua compagnia in cui si impegna a regalare a Carroll due chitarre a scelta del musicista e coglie l’occasione per dare notorietà alle sue strategie di servizio al cliente (già più avanzate e sostanziali dei suoi più noti competitor).

Bob Taylor, founder e owner di Taylor Guitars

Cosa ci insegna questa storia? Innanzitutto che il passaparola – una risorsa completamente gratuita – ha il potere di creare e di distruggere ben più di tante teorie studiate a tavolino (contiene infatti il pericoloso elemento della generalizzazione: qui siamo di fronte a un caso in cui pochi dipendenti di una grossa compagnia hanno gestito male un reclamo, ma United Breaks Guitar induce a pensare fin dal titolo che questo sia il comportamento medio dei lavoratori della compagnia in tutti gli scali), poi che le aspettative tradite sono il peggior affare che un’azienda possa commettere nei confronti dei clienti, infine che il personale di un’azienda va educato ad agire con intelligenza e autonoma personalità perché quando si tratta di pagare un servizio tutti i consumatori sono adulti e pretendono di essere trattati come tali.