Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

venerdì 22 giugno 2012

You are fucking die hard!!!

“Siete fottutamente duri a morire!”. Sono le parole  con cui Bruce Springsteen ha apostrofato i 43.000 spettatori dell’Artemio Franchi di Firenze domenica 10 giugno 2012, più o meno alle 23,30 e appena prima di introdurre le ultime due canzoni del suo concerto: Twist and Shout e Who’ll Stop the Rain. Sì, perché quella sera ha iniziato a piovere alle 20,35 (appena conclusasi Badlands, la canzone che ha aperto lo show) e ha smesso alle 00,15: giusto per prendere l’acqua fino all’albergo.  Un concerto speciale, non solo perché, dicono i fiorentini, di solito quando piove non ne viene giù così tanta, ma perché è come se lo show fosse durato un intero weekend. Di fatto, molti fan sono arrivati venerdì (non pochi di loro reduci dal concerto di Milano) e non hanno perso l'occasione per colorare la città di magliette, tatuaggi, cori inneggianti al più grande comunicatore vivente. Perché il popolo di Springsteen è particolare: non ama solo il cantante, ama l’uomo. E c’è un motivo: è l’unico personaggio pubblico in grado di spiegarti come sia possibile trovare la gioia in fondo a un secchio pieno di buchi. Con la sua poetica di pneumatici bruciati ti porta dritto nell’inferno della vita, ma ti spiega che non sei solo e che non sei lì per rimanerci.
C’è come un vento che ti arriva dal palco: può essere soffocato come le note stirate di un’armonica o poderoso come un assolo di sax, ma in ogni caso è un vento che ti mette le ali (altro che RedBull!) e ti porta fino alla luce, fino al calore del sole, che brucia per tutti ma scalda solo chi le cerca intensamente. Questo è il messaggio ricorrente dei testi di Springsteen: lottare per uscire dalla mediocrità, e farlo con le proprie forze, senza cercare espedienti, e con l’aiuto di tutti quelli che riconosciamo come fratelli.
Gratitudine, passione, reciprocità: sono le prime parole che mi vengono in mente. Insieme a quella che Kant avrebbe definito la sensazione del “sublime”: un evento di fronte al quale per un attimo ci sentiamo piccoli, ma che subito dopo ci scoppia dentro come un’esplosione di salute e di felicità. E si comincia ad apprezzare tutto, a dare valore agli istanti, a tollerare le differenze e le distanze.
È un tuffo nell’istinto che non ha bisogno di additivi strani, un invito a fare comunità che forse è la missione più alta del rock & roll. E se mentre ascolti Born to Run salti a tempo con gli altri 43.00 tenendo per mano tua moglie in uno stadio illuminato dallo smalto dai sorrisi beati di gente di tutte le nazionalità, beh, hai fatto una cosa che ti rimarrà inpressa per tutta la vita e hai come la sensazione di far parte di un progetto di cui sei anche tu responsabilmente protagonista: darci dentro perché questa società smetta di fare così pena a se stessa e trovi la forza di ripartire dalle cose semplici e vere, che poi è quello che chiamiamo amore. Nel rock non c’è retorica, c’è solo vita.

Paola "fucking die hard" Chiappano