Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

martedì 16 aprile 2013

The Winnemucca Road

Venerdì 12 aprile è cominciata l’avventura di The Winnemucca Road, un duo acustico composto da me e da Federico Rama. Entrambi suoniamo la chitarra, in più io canto e suono l’armonica.
Il nostro repertorio comprende i migliori risultati di songwriters come Bruce Springsteen, Bob Dylan e Neil Young, di artisti country come Johnny Cash e Willie Nelson, di bluesman come Eric Clapton, J.J. Cale, Robert Johnson e Muddy Waters, di gruppi come Rolling Stones, Lynyrd Skynyrd, Cream, U2, Depeche Mode.
L’altra sera abbiamo suonato alla presenza di amici e studenti presso l’associazione musicale Do You Music, in Via Plana 45 a Milano. Un luogo ospitale e amichevole in cui si trova una scuola di musica di ottimo livello.
Federico è uno degli insegnanti di questa scuola, ha studiato alla civica di Milano e conosce molto bene l’armonia jazz, ma ha il blues e il rock che gli scorrono dentro: è proprio in questa veste che si mostra all’interno del duo. Quanto a me, con The Winnemucca Road colgo l’occasione per dare forma artistica ai miei interessi principali e cioè lo studio della cultura popolare in rapporto al miglioramento personale.
Tutti i brani che eseguiamo hanno un valore storico nell’economia del rock, vuoi per i testi, vuoi per i riffs o più in generale per le musiche. Sono canzoni che ci piacciono e che affrontiamo con riverenza e passione, riarrangiando senza stravolgere, soprattutto sotto il profilo ritmico e vocale. L'altra sera abbiamo suonato 21 canzoni, iniziando con Call Me the Breeze e terminando con Sympathy for the Devil, c'è stato anche il tempo per un bis: una versione intimista di Darkness on the Edge of Town.

Federico Rama e Piero Chiappano - The Winnemucca Road
Ora abbiamo l’obiettivo di farci conoscere nei locali e presso le associazioni musicali, anche sviluppando occasioni d’incontro tematiche. Cioè, oltre al classico concerto, vogliamo mettere a punto una serie di scalette organiche che diano la possibilità di costruirci intorno un discorso per allargare l’accezione di intrattenimento musicale.
Una nota sul nome: la Winnemucca Road si trova citata in un brano country, I’ve Been Everywhere, scritto in Australia nel 1959 e poi adattato per il Nord America nel 1962 da Hank Snow, dove divenne un successo del cantante Lucky Starr. È la strada, “long and dusty” (lunga e polverosa), che porta alla cittadina di Winnemucca, nello stato del Nevada. Lunga e polverosa, ma piena di soddisfazioni come sarà la vita artistica del nostro duo, pronto per il suo never ending tour.
See ya up the road!!!

lunedì 8 aprile 2013

Ricordo di Enzo Jannacci

Verso la fine degli anni Ottanta, c’era un negozio in Via Marghera a Milano dove potevi comprare una t-shirt e farci dipingere sopra una scritta. Ricordo di averne comprata una verde sulla quale feci scrivere:

Poveri cantautori, non ci han dato il permesso neanche i suoi genitori!

Una frase un po’ sconnessa di Enzo Jannacci, artista poliedrico e uomo di cui proprio in quegli anni cominciavo ad apprezzare la grandezza.



L’arte di Jannacci parte da lontano e si forma in un’epoca in cui scopo della canzone d’autore era quello di raccontare la vita, possibilmente prendendola dal basso. Enzo vi aggiunge con originalità una robusta dose di ironia surreale, facendo della musica un supporto essenziale per testi che invitano sempre alla riflessione.
L’assurdo, il paradossale, il grottesco, sono la sua firma d’autore, spesso sottolineati da un’espressività paradialettale milanese nonché intonati con partner di rango come Giorgio Gaber e Dario Fo.
Dagli sketch musicali venati di tragicomica malinconia tipici degli anni Sessanta e Settanta (sostenuti da apparizioni cinematografiche, vedi La vita agra di Carlo Lizzani, e importantissime incursioni nel cabaret, con Jannacci “ostetrico” di tanti talenti del Derby di Milano) ai temi di denuncia sociale il passo è breve e così negli anni Ottanta, grazie a due fortunate apparizioni a Sanremo con canzoni sulla droga e sulla mafia (rispettivamente Se me lo dicevi prima e La fotografia), il cantautore arriva a toccare il cuore (lui, cardiologo affermato, già in équipe con Christiaan Barnard) dell’Italia intera.
Di una sua canzone, Faceva il palo, scritta insieme a Walter Valdi, ho parlato nel mio libro Manager Songbook, come metafora musicale delle attività di recruiting, ma ci sono anche altre canzoni di Enzo che possono servire per introdurre temi chiave del mondo del lavoro.
Vengo anch’io. No, tu no parla del mobbing inteso come esclusione ed emarginazione.
Ci vuole orecchio sottolinea la capacità di sintonizzarsi sul giusto ritmo dettato dall’ambiente di lavoro (il mitico ascolto sottile).
Son s’cioppàa descrive la fenomenologia del burn-out lavorativo ed esistenziale.
L’importante è esagerare ironizza sullo yuppismo qualunquistico e italiota, che promuove la forma e annulla la sostanza.
Vincenzina e la fabbrica, uno dei suoi capolavori, anticipa di qualche anno Factory di Bruce Springsteen e parla della mancanza di senso e del vuoto di vita che produce il lavoro serializzato.
Ma è con Quelli che…, scritta in collaborazione con Beppe Viola, superbo esercizio di stile che narra una collezione di umane mediocrità, che Jannacci arriva a sfidare la gente comune, rilevando come per molti il lavoro sia solo una delle tante occasioni perdute per migliorare se stessi:

Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli, non hanno ancora finito e non sanno che cavolo fanno, oh yes!

Cantata da una persona che ha fatto di due lavori un’unica missione di vita (l’ho già detto: quella di “toccare il cuore”), frasi come questa costituiscono un’eredità di pensiero e azione, un invito a non lasciarsi guidare dal conformismo e dalla superficialità, il cui testimone va assolutamente raccolto, interpretato e divulgato.

martedì 2 aprile 2013

Ode a Franco Califano




Franco Califano (1938-2013)

Hai scritto: un uomo solo nella nebbia
non può parlare manco con il cielo.
Mi basta questo per poter spiegare
che con i versi ci sapevi fare.

Ma una poesia non è solo questione
di metter rime dentro una canzone.
Per fare poesia ci vuol coraggio:
tu pure al fresco stavi all’arrembaggio.

Ti credevamo ai margini di tutto
e invece forse stavi un po’ più sotto
per sollevare i ruzzoli del cuore
e riscattare in musica il dolore,
per dire che anche quando un uomo è solo
può prender l’aria giusta e alzarsi in volo.

Plasmavi i sentimenti come l’oro,
facendo dell’amore il tuo lavoro:
la musica è finita, minuetto
e ancora tante perle nel cassetto.

Chissà se adesso tutto il resto è noia
o la malinconia l’eterno ingoia,
chissà se hai già trovato una ragione
di più per aver fatto indigestione
di tutti quei piaceri popolari
che fan dei giorni un canto di corsari.

La metrica ti è stata sempre amica
come quell’altra cosa (non si dica!),
così ci ho messo il genio a celebrarti
con quelle che son state le tue arti
e se ti son sembrato un po’ maldestro
ti chiedo scusa, ultimo maestro.

                                             Piero Chiappano