Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

martedì 4 giugno 2013

Springsteen - il Boss di San Siro

Avete presente la massima evangelica “beati gli ultimi perché un giorno saranno i primi”? Ecco, Bruce Springsteen, il Papa del rock, attualmente è forse l’uomo più in grado di renderla credibile.
Lui, nato tra gli ultimi, è diventato primo, e da primo gira il mondo parlando agli ultimi di speranza, sogno, fatica, attesa. Lui, che ce l’ha fatta, non vede l’ora di strapparsi le corde vocali per darci la sua lezione, che non è una scorciatoia, ma una cavalcata lungo i sentieri polverosi del rock.
E così anche quest’anno siamo andati alla sua liturgia nel tempio di San Siro a Milano (è il quinto concerto in questo stadio), dove ci ha accolto con una potenza inaudita (i primi cinque brani, tiratissimi, nella scaletta di un comune mortale sarebbero stati dei bis), prima di proiettarci in una dimensione più cruda e realistica con una canzone, Death to My Hometown, che più esplicita e attuale non si può:

Manda i capitalisti senza scrupoli dritti all’inferno,
i ladri avidi che sono arrivati
e hanno mangiato la carne di tutto ciò che hanno trovato
e i cui crimini sono ancora rimasti impuniti.
Quelli che ora percorrono la strada da uomini liberi
hanno portato la morte nella nostra città.

Un’invettiva brutale contro la finanza selvaggia, ma che in Italia può anche essere letta in una dimensione politica. Perché di grandi aziende di proprietà italiana ne restano sempre meno e i padroni stranieri hanno molto poco interesse a tutelare i posti di lavoro di persone con le quali non condividono alcun tipo di legame.
La riforma Fornero – dopo quasi un anno possiamo abbozzare un bilancio –  quali effetti sembra aver innescato?
Ha aumentato la flessibilità in entrata, ma ha anche alimentato il precariato: coi contratti a termine cosiddetti acausali le aziende sono sempre legittimate a disfarsi della zavorra umana, mentre il nuovo apprendistato è ancorato a una burocrazia talmente complessa da scoraggiarne il ricorso anche agli HR manager più filantropici.
In compenso il già mitico licenziamento “per motivi economici” si è rapidamente imposto come sentina per la mala gestione: da una parte i giudici non hanno tempo di entrare nel merito e quindi premono per conciliare le posizioni dietro incentivo (col dipendente “accontentato” che resta a casa), dall’altra le aziende utilizzano i licenziamenti per compensare i mancati guadagni previsti.
Risultato: una corsa sempre più frenetica alla dissoluzione del sistema che sul lungo periodo avrà solo perdenti.
Ma, tornando al nostro Papa del rock, mi piace sottolineare come ieri sera, con grande sorpresa dell’artista stesso, sia stato accolto da una spettacolare coreografia tricolore che dal terzo anello digradava nel prato per arrivare fino al palco.


Ecco come ci hanno ridotti: deve venire un americano con madre di origine italiana a farci sentire orgogliosi della nostra terra, a farcela amare e benedire e a ricordarci di avere una bandiera da rispettare e esibire con orgoglio. Sì, perché qui da noi i profeti sono finiti da tempo, sostituiti da corvi travestiti da cornacchie che non hanno nemmeno più il pudore di fingersi colombe.
E allora diamoci dentro e facciamo sapere in giro che esiste anche un altro tipo di italiano, quello che non scappa di fronte alle responsabilità, che paga i suoi conti fino all’ultima goccia di sudore e che “ultimo” non è anche se c’è chi fa di tutto per ferirlo nella dignità. Perché in un’Italia normale, che tale evidentemente non è, non si dovrebbe ringraziare di avere un lavoro, ma è il datore di lavoro che dovrebbe ringraziare per aver trovato lavoratori onesti.
Se proprio ci dobbiamo sforzare per trovare un buon motivo per chi ieri sera è rimasto a casa, potrebbe essere questo: ve li immaginate quei 65.000 spettatori tapini, dopo aver celebrato il rito laico della comunità del rock in marcia verso un futuro migliore, guidata da un uomo che chiamano  il BOSS, andare in ufficio il mattino dopo e riprendere la vita di sempre, cioè non celebrare niente, marciando verso il nulla (o navigando a vista) e obbedendo a qualcuno che vorrebbe farsi chiamare boss, e li guida senza volante?
Mi fa notare il mio amico Marco che i 65.000 non erano spettatori passivi, ma, pur nel rispetto dei ruoli, tutti ben intenzionati a creare sinergia, a portare un contributo. Il messaggio della serata allora diventa quello di non aspettare che qualcuno ci porti al naufragio, ma che ognuno lavori per costruire il proprio timone e tracciare la propria rotta. Perché se leader si nasce, Boss si diventa!