Franco Battiato, eminentissimo ac reverendissimo musicista di ampia caratura internazionale, si trova in questi giorni nell’occhio del ciclone per aver detto che il parlamento italiano è pieno di troie, interpretando in questo, come giustamente un cantautore deve fare, un pensiero da anni più che comune nella voce popolare.
Allora perché lo scandalo? Semplice, perché anziché gridarlo nei concerti (cosa che praticamente fa da anni, basta leggere i testi di canzoni come Povera patria e Inneres Auge), è andato a sussurrarlo direttamente nel porcile, cioè nel troiaio. Le reazioni di sdegno sono state immediate e bipartisan, col risultato che Battiato, forse caso unico di assessore regionale (della sua Sicilia) che spontaneamente ha scelto fin dalla nomina di non percepire compenso, si è visto revocare ogni incarico.
La vicenda è a dir poco grottesca: Platone, agli albori della filosofia, negava dignità alla rappresentazione artistica in quanto sostanzialmente menzognera rispetto alla realtà, oggi invece, quando l’artista smette i suoi panni e parla da uomo comune, ecco che viene subito accusato di falsità con l’aggravante dell’ingiuria.
E a nulla serve osservare che la parola troia è comune metafora per indicare i voltagabbana, i doppiogiochisti e i cortigiani.
No, qui se ne fa addirittura una questione di dignità femminile, come se il cantautore fosse un misogino represso (proprio lui che quando canta una canzone d’amore come La cura ti fa venire la pelle d’oca per un giorno intero), per cercare di distrarre l’attenzione dal vero problema della politica italiana attuale e cioè la totale assenza di credibilità dei suoi rappresentanti.
Già, in fondo perché perdere tempo a discutere del fatto che, se uno Stato non è nemmeno in grado di proteggere i suoi soldati (mi riferisco ai due marò rispediti nelle carceri indiane), forse Stato non lo è più? Meglio parlare dell’artista, che non essendo giullare di corte bensì libero e influente pensatore (vedi il tutto esaurito registrato nei recenti quattro concerti milanesi, a uno dei quali ho piacevolmente assistito), certe verità non le può proprio raccontare.
Eppure Battiato l’aveva già detto tanti anni fa in Bandiera Bianca (1981):
Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare
Quei programmi demenziali con tribune elettorali.
Da allora i tempi non sono affatto cambiati, anzi la “voce del padrone”, titolo dell'album che l'ha consacrato, si è fatta più arrogante e volgare: la "voce del troione", appunto. Nella politica come nel business.
Forse sta qui, a giudicare da come l’Italia se la passa economicamente, la palestra più truce delle troie. Che ovviamente non sono solo donne scostumate, ma scaltri dirigenti, funzionari compiacenti, impiegati meschini…