Un curioso libretto mi ha fatto compagnia durante un viaggio
in treno per Roma. Si tratta di L’importante
è proibire. Tutto quello che la censura ha proibito nelle canzoni di
Maurizio Targa (Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Roma , 2011).
Si tratta di un volume ricchissimo di aneddoti che, aldilà
dell’aspetto tecnico (che riguarda gli addetti ai lavori), getta luce su alcuni
aspetti della nostra vita culturale nei quali ci troviamo immersi, in
particolare sull’uso e la diffusione di certe parole.
La commissione preposta
alle sforbiciate morali agiva non solo sulla lettera, ma anche in nome di
un’interpretazione del tutto soggettiva dei commissari stessi, costringendo gli
autori a purgare i testi, talvolta a snaturarli.
Senza entrare nel merito di
molti casi anche famosi di cui si trovano agevolmente notizie in merito, come a
proposito di 4/3/1943 di Dalla o L’importante è finire di Mina,
preferisco osservare come sia sempre storicamente evidente la relatività del
punto di vista censorio, totalmente subordinata al potente di turno e al
pensiero che si vuole divulgare e tutelare. In particolare fa molta pena
osservare che siano stati proprio i governi democratici a operare i tagli più
assurdi e perversi, incarognendosi nel segno di moralismi di scarsissimo
pregio, facendo fare una illustre figura a culture spesso tacciate di
autoritarismo come quella della Chiesa
Cattolica Apostolica Romana che in campo di
musica popolare si è invece sempre dimostrata sorprendentemente pronta ad accogliere
le novità.
Un caso non da poco e molto recente, riguarda il periodo
immediatamente successivo alla tragedia delle torri gemelle. Diversi
programmatori radiofonici americani scelsero di non mandare in onda tutte le
canzoni che contenevano nel titolo o nei loro versi ripetuti accenni a concetti
come fuoco, volo, aereo, polvere, incidente, ali, inferno, sangue. Qui
propriamente non si tratta di censura di Stato, ma è evidente l’applicazione
del giochetto per cui la parola viene cassata in quanto portatrice di uno
spettro semantico non completamente controllabile. Ecco qui la libertà dei
cittadini americani: quella di essere considerati stupidi.
Un caso diametralmente opposto invece è quello che rivela
come la prospettiva della censura in alcuni casi abbia svolto un ruolo positivo
nel salvare l’artisticità e la poesia di un brano. Ecco un esempio: pare che
Roberto Vecchioni abbia scritto il testo di Luci
a San Siro in risposta a un discografico che lo accusava di scrivere in
modo antiquato. Per dimostrare la sua attualità Vecchioni si lascia andare a
espressioni non proprio fini, ecco un esempi tra gli altri:
Fatti pagare, fatti valere,
più lecchi il culo e più ti dicono di sì
e se hai la bocca sporca che importa
tienila chiusa…
Questa frase, come altre, verrà risistemata dall’autore,
dando vita a un capolavoro equilibrato e perfettamente chiaro pur nell’uso
(intelligente) degli eufemismi.
Il richiamo al mondo delle aziende viene spontaneo: da
quando la lingua inglese è diventata la portavoce ufficiale del New World Order
si assiste a una ridicola ostentazione di una terminologia gergale che
personalmente non trovo per niente originale né utile. Anzi, considero la
scelta di non tradurre dall’inglese determinate parole o la sostituzione di
quelle italiane con motti anglosassoni un modo per nascondere, dietro la
pretesa di un intellettualismo un po’ esotico, una sostanziale mancanza di
contenuti. Specchio dei tempi…
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