La musica di questa canzone è nata di notte, tra febbraio e marzo 2010, suonando in cuffia la mia Fender Telecaster. Il mondo sonoro che mi girava in testa, così come la struttura del brano, poteva essere quella di un pezzo di Bob Dylan del 1966 (stile Blonde on Blonde): una ballad elettrificata senza ritornello vero e proprio, ma con gli elementi melodici da ricordare contenuti nelle strofe. Una mattina, andando al lavoro, mi è uscito quasi di getto il testo in inglese (lingua che non conosco benissimo, ma per fortuna l’ispirazione percorre anche rotte precluse alla comprensione razionale). Ho registrato la canzone su di una macchinetta digitale con sola voce e chitarra (questa volta una Gibson J-45) con l’aiuto della mia fidanzata Paola. In questa versione l’ha ascoltata Franco Mussida, che ci ha trovato del buono, ma ha manifestato la necessità di aumentare la cantabilità del brano (per lo scopo che ci eravamo prefissi la canzone doveva avere le caratteristiche di un singolo). Così, qualche giorno dopo, sempre di mattina (ma cosa mi sogno la notte?) ho preso in mano un’altra chitarra (che ora non ho più), una Gibson Blues Master, e mi è uscito un nuovo ritornello. È quello giusto: Mussida dixit. A questo punto siamo entrati in studio per la preproduzione e qui è stato esaltante vedere Mussida al lavoro. Sul piano strutturale ha costruito un crescendo da hit, mentre sul piano dell’arrangiamento ha fatto muovere il pezzo verso territori lontani dall’origine, o meglio, ha dimostrato che le suggestioni che vi si potevano ritrovare erano molte di più di quelle che ci sentivo io. Così sono uscite le chitarre distorte, un po’ di U2 e un po’ di Beach Boys, risonanze r&b e persino un inserto rap, che passo a passo ci hanno condotto alla versione finale.
La mentalità polifonica di Franco e la sua sagacia musicale possono insegnare ai manager un sacco di cose. In particolare la riflessione da fare è sul tema del cambiamento: per un produttore-arrangiatore una successione organizzata di note musicali è materia da plasmare e sorgente potenzialmente infinita di richiami a stili e sovrapposizioni strumentali. Si tratta di accettare la naturalità delle alternative. La differenza tra il manager e il produttore è che di solito il primo vive un’idea come un dato immodificabile che funzionerà così com’è (soprattutto se l’idea l’ha avuta lui) mentre il secondo la vive come ipotesi continuamente perfettibile (in fondo è questo il presupposto delle cover d’eccezione) che riflette l’alchimia delle relazioni tra i soggetti coinvolti. Tanto il manager è arroccato sulle sue posizioni e tanto il produttore musicale è aperto al dialogo e sensibile al contesto: non può usare il potere per persuadere interpreti e musicisti che si è sulla strada giusta, deve guadagnarsi la fiducia e questa arriva solo quando si è cercato il consenso con argomentazioni ben ponderate esposte assertivamente.
Franco Mussida e Piero Chiappano discutono, discutono, discutono... |
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