Springsteen ha detto che quando ha ascoltato il colpo di batteria che saluta questa canzone, è come se qualcuno gli avesse aperto a calci le porte della mente. Ma questo è solo uno dei tanti commenti lusinghieri che circonda quella che è considerata la più grande canzone rock di tutti i tempi.
Nata da una “vomitata emotiva” lunga venti pagine, poi condensata in sei minuti di canzone rock (ma nella gestazione compositiva attraversò anche una fase pianistica in ¾ molto più soft), Like a Rolling Stone stupisce sempre per la sua immediatezza e per le impietose immagini che descrive. Coverizzata un po’ da tutti – da Jimi Hendrix a Bob Marley, dai Rolling Stones agli Articolo 31 – non delude mai, tanto è potente il polmone d’energia a cui attinge.
La versione più significativa rimane forse quella registrata dal vivo il 17 maggio 1966 alla Free Trade Hall di Manchester. Dylan, accompagnato dalla Band di Robbie Robertson e Rick Danko, dilata il brano a oltre otto minuti di durata complessiva, stonando in modo così perfetto da far invidia ai futuri Sex Pistols. Durante quel tour in Inghilterra, Dylan fu criticato apertamente e in modo quasi violento. Celebre lo scambio di parole con uno spettatore. “Judas”, gli gridarono dalla platea, “I don’t believe you… you are a liar” risponde Bob e poi, giratosi verso la Band: “Play it fucking loud!”. E giù di chitarre elettriche, batteria, organo Hammond ecc.. Dylan aveva scelto: la sua musica era cambiata per sempre.
L’attacco di vomitosi del testo si riferisce a una ragazza cresciuta negli agi, abituata a non chiedere mai, semplicemente a prendere, che ha coltivato la superficialità e l’indifferenza per il diverso, guardando tutti dall’alto, sfuggente e inarrivabile (personaggio in parte rivisitato da Ligabue in Eri bellissima, 2002), ha fatto scuole raffinate, ma alla fine non faceva che spassarsela.
Ora le cose sono cambiate: la ragazza per bene è diventata Miss Solitudine, ha perso tutto, soldi e certezze, e prova l’ebbrezza dell’assenza di punti fermi:
Come ci si sente,
come ci si sente
a stare per proprio conto
senza un posto dove andare
come una completa sconosciuta,
come una pietra che rotola?
Da principessa a vagabonda dell’essere, Miss Solitudine è costretta a scendere a patti con tutti quelli di cui si prendeva gioco e cui conferiva esistenza solo per il proprio sollazzo. La ragazza non è più in condizione di scegliere niente perché a nessuno ti puoi rifiutare
Quando non hai niente, non hai niente da perdere,
ora sei invisibile, non hai segreti da nascondere.
Chi sono gli omologhi aziendali di Miss Solitudine? Quelli che sono partiti già in alto, quelli che hanno preso le “scorciatoie”, quelli che non c’entrano niente ma hanno la faccia giusta, gli emuli del Marchese del Grillo («Mi dispiace, ma io so’ io, e voi nun siete un cazzo!»), i figli e parenti di, quelli con gli stipendi gonfiati, i tesserati, i paraculi e i miracolati. Ma prima o poi la ruota gira perché nelle aziende agisce la legge della compensazione. Così Like a Rolling Stone diventa una canzone sul karma, un po' di pazienza per favore…
Nessun commento:
Posta un commento