Il 1965, è cosa nota, è un anno cruciale per la carriera di Bob Dylan e più in generale per la storia del rock. Sbrigativamente potremmo dire che in quell'anno il celebrato folksinger è diventato “elettrico”, ma più correttamente dovremmo dire che, elettrificando la sua musica, Dylan ha portato ordine nel mondo del rock e soprattutto l’ha obbligato a confrontarsi con un contenuto di pensiero che poteva essere nobilitato da una forma elevata. Insofferente alle etichette, carattere a dir poco schivo che tutto sommato si è divertito a giocare con la popolarità molto più di quanto non abbia cercato di convincere i suoi biografi, Dylan si presenta il 25 luglio al Newport Folk Festival (tempio acustico per eccellenza dove già era stato venerato nei due anni precedenti), accompagnato dai membri della Paul Butterfield Blues Band e, contrappuntato dalle sciabolate di Michael Bloomfield abbarbicato in posizione fetale a una Fender Telecaster bianca, ingaggia una virulenta Maggie’s Farm. Il pubblico, revivalisti e giovani di buona famiglia, reagisce male, ma ormai il dado è tratto, il profeta ha vaticinato: la cultura democratica americana può e deve integrare i suoi elementi in una sintesi potente quale è la musica che gli amplificatori di Newport stanno diffondendo.
Il brano d’apertura del set di Dylan è una canzone di protesta dedicata al mondo del lavoro:
Non lavorerò mai più alla fattoria di Maggie
No, non lavorerò mai più alla fattoria di Maggie.
Perché mentre lavori il fratello di Maggie ti tira le monetine con disprezzo, suo padre ti sbuffa il sigaro in faccia e sua madre anziché sostenerti passa il tempo a farti prediche sulla legge e su Dio, fingendo di non sapere che chi viola i precetti è proprio la famiglia di Maggie. Ma il protagonista della canzone va oltre e fa un’osservazione psicologica che, in tempi di dittatura delle corporation, suona molto attuale:
Faccio del mio meglio
per restare quello che sono,
ma tutti pretendono
che tu sia come loro.
Per resistere in quelle condizioni, canta Bob, la scorciatoia suggerita dai datori di lavoro è quella di rinunciare a se stessi e farsi dire da loro chi sei, quanto vali e dove puoi arrivare. Ma tu non devi cedere.
Così Maggie’s Farm diventa un’invettiva contro l’omologazione, la risocializzazione, il pensiero unico e un inno alla riappropriazione di sé.
Ed ecco spiegata la rivoluzione di Dylan: una canzone dalla struttura country blues, aggiornata nei contenuti e nell’arrangiamento, confluisce nel rock portando sostanza, dignità, valori e trascendendo il tempo come tutti i prodotti culturali di alto livello.
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