Assodato che il vantaggio competitivo nei mercati attuali è spesso caratterizzato da un efficace rapporto dell’azienda col concetto di innovazione, esaminiamo rapidamente il processo che ne valida i presupposti: la creatività.
Nella definizione classica di Henri Poincaré (1854-1912) "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili". Si tratta in sostanza di vedere la realtà con occhi diversi, scoprendo legami nascosti e punti di vista alternativi, con occhio vigile al contesto. Nel mondo del business questo significa che il processo creativo che sfocia in innovazione di prodotto o servizio non può essere fine a se stesso ma deve tener conto dei bisogni del cliente, da interpretare e anticipare. Si tratta cioè di stabilire una relazione tra risorse a disposizione e domande che provengono dai mercati.
La storia della musica popolare americana illustra bene il caso.
Fino al primo decennio del Novecento la produzione musicale si presenta come un crogiolo di influenze e di elementi indistinti relativi agli apporti specifici delle culture di provenienza delle comunità linguistiche presenti sul territorio (afroamericani, inglesi, irlandesi, francesi, tedeschi).
Le melodie sono patrimonio di tutti (non si conoscono gli autori) mentre i testi vengono adattati alla realtà locale. La funzione della musica popolare è eminentemente sociale, cioè è quella di aggregare la comunità attorno a un elemento di svago per rafforzare l’identità di gruppo.
Gli esecutori sono solisti itineranti (vagabondi-bohémien) o compagnie viaggianti (minstrel show, tent show). Elementi che oggi definiremmo “bianchi” e “neri” si fondono in un unico amalgama sonoro e interpretativo. Le canzoni parlano di religione, lavoro, fuorilegge, diritti civili, patria, amore, viaggi, catastrofi naturali.
Negli anni Venti accade che il miglioramento delle tecniche e dei supporti di registrazione promuove la nascita e lo sviluppo del mercato discografico. Le conseguenze sono fondamentali: per gli artisti ad esempio nasce il concetto di diritto d’autore, mentre la durata di un brano viene vincolata da esigenze tecniche di registrazione e poi radiofoniche. Cambia, e per sempre, il rapporto con la musica da parte dell’ascoltatore: all’aspetto sociologico della fruizione si affianca quello puramente estetico. Questo fatto apre agli editori enormi possibilità di guadagno: se in passato con le edizioni a stampa la musica era prerogativa dei soli musicisti, oggi con le incisioni in gommalacca e poi in vinile il business della musica si allarga ai semplici ascoltatori favorendo la nascita di una vera e propria industria del disco che, Grande Depressione permettendo, godrà di buona salute fino a fine secolo.
Assecondando l’esigenza di spremere il mercato e applicando il principio secondo il quale diversificando l’offerta si aumentano le vendite, le case discografiche “inventano” quelli che oggi chiamiamo i generi musicali, esasperando gli apporti parziali delle singole comunità culturali e razziali. Nascono così le forme che oggi, ma troppo sbrigativamente, reputiamo “tradizionali” del blues e del country: si riferiscono a pubblici diversi e sono valutate in specifiche e distinte classifiche di vendita (secondo l’orrenda definizione di race records).
Un ulteriore passo avanti avviene negli anni Cinquanta, quando i discografici si ingegnano per scovare una musica in grado di riattraversare le barriere razziali: è ciò che accadrà con il rock’n’roll. Elvis Presley è un bianco che canta come un nero, Chuck Berry un nero che canta come un bianco: con il rock’n’roll il blues si ripulisce, il country si sporca, i ritmi si accelerano, i volumi si alzano, le star vivono al limite e si crea un circolo virtuoso tra esigenze commerciali e sperimentazione.
Per alcuni anni innovazione di prodotto ed esigenze di mercato sembrano rispondersi senza sforzo.
Negli anni Sessanta poi i generi musicali riprendono a specializzarsi, appoggiandosi alla lezione del r’n’r: nascono così il country rock, il blues rock e si gettano le basi del soul e del funky.
Verso la metà del decennio i gruppi inglesi (la cosidetta British Invasion) dimostrano di aver imparato la lezione d’oltreoceano e, partendo da una rilettura tecnicamente aggiornata dei classici del blues, si spingono fino all’invenzione dell’hard rock con Cream e Led Zeppelin. Successivamente la musica si diversifica in ulteriori sottogeneri: dalla psichedelica dei Pink Floyd al rock progressivo dei Jethro Tull, dal glam di David Bowie fino all’arrivo dell’ondata punk, che dalla seconda metà degli anni Settanta con Ramones, Sex Pistols ecc. rivoluzionerà il mercato all’insegna dell’immediatezza espressiva.
La cosa incredibile – e qui sta la lezione per i manager – è che sotto il profilo strettamente compositivo e quindi della creatività vera e propria la storia della musica popolare americana si può spiegare tutta a partire da una struttura armonica di base di tre accordi (costruiti sul I, IV e V grado della scala) sui quali – in virtù dell’evoluzione del gusto, dei costumi e della tecnica – la sensibilità degli artisti ha potuto esercitarsi ricombinando in maniera sempre diversa il materiale preesistente.
La musica insegna che non esiste innovazione senza tradizione e insegna alle aziende che il patrimonio culturale di un marchio, lungi dall’essere un peso vincolante verso il passato, si configura come la base indispensabile per l’innovazione di successo, il cui processo si può riassumere così: rivoluzione nella continuità. Sul piano musicale Bob Dylan in USA e i Beatles in UK sono forse i massimi interpreti del concetto di rivoluzione nella continuità: Dylan ha saputo coniugare l’impegno e la poesia del folk con l’impeto del rock, definendo il modello di ciò che oggi chiamiamo canzone d’autore; i Beatles invece hanno saputo innestare un gusto innato per la melodia su generi musicali per convenzione piuttosto poveri di questo elemento, indicando la possibilità di far convivere lo sperimentalismo con la commerciabilità del prodotto finale.
La storia della musica popolare americana si svolge all’insegna del dialogo tra pubblico, compositori e tecnologia. Traslando la metafora nel mondo aziendale tutto questo significa interazione costruttiva tra consumatori-ricerca & sviluppo-sales & marketing e dimostra la praticabilità e l’efficacia di una visione sistemica del business, che accoglie e coltiva con pari dignità stimoli interni ed esterni senza pregiudizi e con spirito pratico, mantenendo un forte orientamento sia al compito che alla relazione.