Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

sabato 16 ottobre 2010

È stata tua la colpa – Edoardo Bennato

Burattino senza fili (1977) è un album di Edoardo Bennato che mette in musica la favola di Pinocchio. La narrazione delle peripezie del burattino e la caratterizzazione dei personaggi si traducono in una satira molto acuta sulle distorsioni del potere e in una simbologia decisamente attuale. In particolare fornisce più di uno spunto di riflessione proprio la lettura che Bennato fa del personaggio Pinocchio: un burattino che ha fatto di tutto per diventare un bambino come gli altri, per scoprire alla fine che omologazione e libertà sono concetti inconciliabili.
È stata tua la colpa è la canzone che apre l’album: una scelta rischiosa se si considera che si tratta di uno dei brani meno immediati, ma il contenuto del testo riassume con coerenza tutte le riflessioni successive:

È stata tua la colpa allora adesso che vuoi?
Volevi diventare come uno di noi,
e come rimpiangi quei giorni che eri
un burattino ma senza fili
e adesso invece i fili ce l'hai!...
Adesso non fai un passo se dall'alto non c'è
qualcuno che comanda e muove i fili per te
adesso la gente di te più non riderà
non sei più un saltimbanco
ma vedi quanti fili che hai!...

Pinocchio ha commesso l’errore di sentirsi inferiore in quanto diverso, ma ora che diverso non è più si rende conto che l’inferiorità è uno stato della mente e riguarda tutti quelli che sono contenti di sentirsi dire dagli altri cosa è bene e cosa è male e quali sono gli obiettivi per cui spaccarsi le mani, in altre parole: come si fa a stare al mondo.
Chi tira i fili ha ovviamente tutto l’interesse a stabilire cosa una persona debba desiderare come ricompensa per i propri sforzi, ma il fatto grave è che il terreno psicologico viene preparato pazientemente attraverso la scuola. Già, l’istituzione scuola, solo teoricamente super partes, cartina di tornasole di ogni agglomerato borghese e non a caso ripetuto bersaglio di Bennato (il "saggio" Pinocchio non venderà più i libri per vedere lo spettacolo di Mangiafuoco, ora quei libri se li leggerà tutti) si rivela in assoluto il più subdolo dei cavalli di Troia, perché dietro la parvenza della rispettabilità dei titoli accademici e della retorica d’occasione, nasconde il vuoto della riflessione sui valori umanistici, l’incapacità di selezionare e soprattutto di preparare a un’esistenza consapevole.
Il motivo? Non insegna più a pensare.
Migliaia e migliaia di iperspecialisti sfornati ogni anno dai diplomifici di un numero imprecisato di indirizzi di laurea, pronti per essere tosati come pecore, bravi esecutori del nulla, incapaci di spirito critico, inadatti alla decisione, gratificati dal puro fatto di obbedire, grottescamente felici di invidiare tutti quegli imprenditori che per fare successo si sono comportati come minimo al loro opposto, beati nell’umiltà del senso di colpa: pronti per fare da grigie comparse nel teatrino del silenzio e, recitando a comando, perdere l’occasione di diventare se stessi.

Prima eri un buffone, un burattino di legno
ma adesso che sei normale
quanto è assurdo il gioco che fai!...

Povero Pinocchio e… poveri noi.

domenica 10 ottobre 2010

Crossroads - Cream

La vicenda è nota. Robert Johnson, collettore per eccellenza di tecnica e temi del Delta blues, maestro di sintesi compositiva e di esecuzione chitarristica, nel novembre del 1936, nella stanza 414 del Gunter hotel di San Antonio (Texas), registra una manciata di canzoni destinate a gettare le basi internazionali del rock’n’roll. Cross Road Blues è una di quelle canzoni: diventerà un classico col titolo Crossroads nell’interpretazione dei Cream del 1968 (dall’album Wheels of Fire), una registrazione live che stravolge l’arrangiamento originario, imprimendovi un riff che per sonorità e intensità traghetterà la musica popolare dal rock blues all’hard rock.
Sul testo di Crossroads si è favoleggiato a dismisura, per via del fatto che, come vuole la tradizione del Mississippi, proprio ai crocevia di notte si potesse incontrare il diavolo per stringere patti con lui. Qui in realtà è tutto molto più terreno e di sulfureo non c’è nulla: il crocicchio di strade trasfigura quel particolare momento della propria vita in cui si capisce che i conti non si possono più rimandare. Le certezze si fanno nuvole, i dubbi si affastellano così rapidamente da toglierci fiato e nerbo muscolare e allora:

Sono andato al crocevia, mi sono inginocchiato
Sono andato al crocevia, mi sono inginocchiato.
Ho chiesto a Dio di avere pietà: “Salvami, se vuoi”.

Si prova un senso di estraneità anche da se stessi e si getta sugli altri un’immagine che sembra non trovare riscontro:

Sono andato al crocevia, ho provato a cercare un passaggio
Sono andato al crocevia, ho provato a cercare un passaggio.
Nessuno sembrava riconoscermi: tutti mi passavano davanti.

Sul lavoro vengono alla mente varie situazioni: quando non si è più sicuri di cosa si vuole fare “da grandi”, quando si è stanchi della propria routine, quando non si intravedono nuove mete, quando gli scheletri nell’armadio che abbiamo accumulato per fare carriera non si contengono più, quando non si condivide più un impegno perché svuotato di senso, quando un bilancio tra conquiste e rinunce maturate negli anni fa venire più di qualche rimpianto, quando ci rendiamo conto che è da troppo tempo che “ce la stiamo raccontando”, quando cominciamo a vergognarci di esserci troppo spesso nascosti tra le spietate, ma in fondo comode e deresponsabilizzanti leggi del business.
Eric Clapton, che nei Cream cantava e soprattutto suonava in modo magistrale una Gibson ES-335, la sua Crossroads l’ha vissuta nel 1991, con la morte del piccolo Conor Loren.
Quel dramma, forse proprio per via della sua assurdità, gli ha dato la forza di uscire per sempre dalle dipendenze che gli avevano ammorbato la vita (droga e alcol); l’ha spinto verso una palingenesi fisica e spirituale che l’ha convinto a vendere tutte le sue chitarre per fondare un centro riabilitativo ad Antigua nei Carabi; e infine l’ha riportato, attraverso l’arte, a ricongiungersi alla sua dimensione più autentica, alle sue radici musicali, a Robert Johnson, quello vero, quello acustico, per riscoprire la purezza di un suono e di un’esecuzione che, per via di quell’ossimoro radicale che è il blues, costituiscono al contempo ricerca e appagamento.
La lezione di Crossroads è che se non siamo noi a sceglierci tutto ciò che ci capita, siamo sicuramente noi a decidere come reagire. E allora tanto vale farlo subito, perché il diavolo non è poi così cattivo, magari è solo un tizio innamorato della notte che inganna la solitudine bevendo whisky di contrabbando dalle parti di Rosedale, Mississippi, USA…