Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

giovedì 23 dicembre 2010

Yes I Am – direzione musicale

Il casting per le voci e la registrazione delle parti vocali di Yes I Am hanno offerto una serie di spunti di riflessione utili al manager d’azienda.
La scelta delle voci è avvenuta in base a un effetto desiderato che era fin dall’inizio chiaro nella mente di Franco Mussida (confezionare un prodotto che, passato per radio o in tv, non avrebbe mai lasciato intendere che a interpretare fossero cantanti non professionisti). Gli elementi discriminanti sono stati: intonazione, timbro, estensione. Se sul primo di questi elementi nulla si poteva fare, sugli altri due si è potuto lavorare in base al gusto del direttore e alla disponibilità dei cantanti. Per ottenere quest’ultima (che innanzitutto, trattandosi di non professionisti, prevede che la voce si “spogli” delle sue sovrastrutture di pensiero e dei condizionamenti socioculturali) Mussida ha dovuto creare un rapporto di stima e fiducia. Come ha fatto? Dimostrando esperienza, competenza, capacità di comunicazione. In altre parole ha creato agio. Ciò ha permesso di ottenere il meglio da ognuno in tempo reale e di fronte ai colleghi. Mussida ha chiarito subito le pari opportunità e ha fatto sì che le qualità di ognuno emergessero in maniera evidente. La scala di valori non è stata fondata su una capacità vocale assoluta (ovviamente per i solisti un po’ di confidenza con la vocalità si è dovuta celebrare), ma sulla “voce giusta al posto giusto”: in questo modo, più che selezionati, direi che sono emersi solisti, seconde  voci e coro.
Per ogni persona Mussida ha avuto il riguardo di spiegare le ragioni di una decisione, sempre pubblicamente e sempre con garbo. Ogni ragazzo ha avuto la possibilità di confrontarsi e un “no” non è mai stato vissuto come una condizione di inferiorità, ma come un’opportunità per trovare la giusta collocazione. Come è vero che un orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno così Mussida ha dimostrato che la musica è un terreno di prova che restituisce feedback molto oggettivi e che non scarta praticamente mai in senso assoluto, ma contestualizza creando consapevolezza.
Dal punto di vista operativo vale il detto “chi ben comincia…”: sono i vocalizzi d’insieme, che si svolgono (apparentemente!) per scaldare le voci, che permettono al direttore di capire e far capire quale strada prenderà il coro. Quando poi ci si trovava davanti al microfono con un paio di cuffie in testa e i colleghi lì a guardare, a quel punto era Mussida a dare la sicurezza necessaria, accompagnando ogni osservazione personale con l’ascolto ripetuto, in modo che il cantante potesse ragionare sui fatti e non sulle impressioni. Così si migliora e si sviluppa il potenziale.
Nella musica, in progetti come questo di Yes I Am, si realizza tutto in pochi giorni, nelle aziende i tempi sono altri perché i risultati si costruiscono su tempi medio-lunghi. Ma in concreto cosa cambia? Nulla: il lavoro di Mussida è stato soprattutto coaching e valutazione della performance, prerogative dei manager di valore, attività condotte con professionalità esemplare in cui carisma, genialità ed esperienza si sono fuse generando passione e sano spirito emulativo.

Franco Mussida mentre dirige

domenica 19 dicembre 2010

Yes I Am – composizione

La musica di questa canzone è nata di notte, tra febbraio e marzo 2010, suonando in cuffia la mia Fender Telecaster. Il mondo sonoro che mi girava in testa, così come la struttura del brano, poteva essere quella di un pezzo di Bob Dylan del 1966 (stile Blonde on Blonde): una ballad elettrificata senza ritornello vero e proprio, ma con gli elementi melodici da ricordare contenuti nelle strofe. Una mattina, andando al lavoro, mi è uscito quasi di getto il testo in inglese (lingua che non conosco benissimo, ma per fortuna l’ispirazione percorre anche rotte precluse alla comprensione razionale). Ho registrato la canzone su di una macchinetta digitale con sola voce e chitarra (questa volta una Gibson J-45) con l’aiuto della mia fidanzata Paola. In questa versione l’ha ascoltata Franco Mussida, che ci ha trovato del buono, ma ha manifestato la necessità di aumentare la cantabilità del brano (per lo scopo che ci eravamo prefissi la canzone doveva avere le caratteristiche di un singolo). Così, qualche giorno dopo, sempre di mattina (ma cosa mi sogno la notte?) ho preso in mano un’altra chitarra (che ora non ho più), una Gibson Blues Master, e mi è uscito un nuovo ritornello. È quello giusto: Mussida dixit. A questo punto siamo entrati in studio per la preproduzione e qui è stato esaltante vedere Mussida al lavoro. Sul piano strutturale ha costruito un crescendo da hit, mentre sul piano dell’arrangiamento ha fatto muovere il pezzo verso territori lontani dall’origine, o meglio, ha dimostrato che le suggestioni che vi si potevano ritrovare erano molte di più di quelle che ci sentivo io. Così sono uscite le chitarre distorte, un po’ di U2 e un po’ di Beach Boys, risonanze r&b e persino un inserto rap, che passo a passo ci hanno condotto alla versione finale.
La mentalità polifonica di Franco e la sua sagacia musicale possono insegnare ai manager un sacco di cose. In particolare la riflessione da fare è sul tema del cambiamento: per un produttore-arrangiatore una successione organizzata di note musicali è materia da plasmare e sorgente potenzialmente infinita di richiami a stili e sovrapposizioni strumentali. Si tratta di accettare la naturalità delle alternative. La differenza tra il manager e il produttore è che di solito il primo vive un’idea come un dato immodificabile che funzionerà così com’è (soprattutto se l’idea l’ha avuta lui) mentre il secondo la vive come ipotesi continuamente perfettibile (in fondo è questo il presupposto delle cover d’eccezione) che riflette l’alchimia delle relazioni tra i soggetti coinvolti. Tanto il manager è arroccato sulle sue posizioni e tanto il produttore musicale è aperto al dialogo e sensibile al contesto: non può usare il potere per persuadere interpreti e musicisti che si è sulla strada giusta, deve guadagnarsi la fiducia e questa arriva solo quando si è cercato il consenso con argomentazioni ben ponderate esposte assertivamente.

Franco Mussida e Piero Chiappano discutono, discutono, discutono...

Yes I Am – traduzione

Ecco il testo in italiano di Yes I Am. L’originale inglese lo trovate sul cd in vendita nei club Virgin Active a partire dalla settimana di Natale 2010. Ricordate che i proventi andranno in beneficenza a Virgin Unite, fondazione no-profit del gruppo Virgin.


Yes I Am
(Sì, lo sono)

Puoi camminare attraverso le battaglie, volare attraverso le nubi, correre in una buia tempesta e riderci sopra?
Quando scegli la strada più dura e lasci risuonare la passione, se qualcuno ti chiede: “Sei puro?”
Sì, lo sono.

Quando provi a trovare le opportunità anche nel fango e rimani sveglio da solo la notte perché vuoi arrivare in cima, quando trovi l’amore per la vita in ogni granello di sabbia, se qualcuno ti chiede: “Sei puro?”
Sì, lo sono.

Vieni con me quando i tuoi sogni stanno precipitando
Vieni con me e ti risolleverai.
Usciamo fuori con questa possibilità nelle nostre mani
Perché lo scopo è vivere come amici.

Vuoi accettare una nuova sfida col sorriso sulle labbra? Vuoi lanciarti in una discesa forsennata senza bisogno di freni?
Puoi catturare le emozioni con le braccia aperte e disegnare un nuovo progetto sentendone il sapore e il fascino?

Vieni con me quando i tuoi sogni stanno precipitando
Vieni con me e ti risolleverai.
Usciamo fuori con questa forza nelle nostre mani
Perché lo scopo è vivere come amici.

Quando trovi l’amore per la vita in ogni granello di sabbia, quando trovi l’amore per la vita in ogni goccia di pioggia, se qualcuno ti chiede: “Sei puro?”, se qualcuno ti chiede: “Sei puro?”, se qualcuno ti chiede: “Sei puro?”
Sì, lo sono.

(testo originale e traduzione di Piero Chiappano)

La cover del cd Yes I Am


Yes I Am – Employer Branding

Può la musica essere protagonista e non comprimaria in un progetto aziendale? Sì, è il caso di Yes I Am, una canzone rock in inglese scritta, cantata, ballata, registrata e filmata dallo staff di Virgin Active Italia, società leader nel settore fitness e wellness, che a partire dalle feste natalizie 2010 sarà messa in vendita in tutti i club dell’azienda. I proventi andranno a Virgin Unite, fondazione no-profit del gruppo Virgin, molto attiva nel sostenere progetti umanitari in tutto il mondo. La realizzazione di Yes I Am è stata curata da Franco Mussida del CPM Music Institute di Milano, che ha prodotto il brano e l’ha arrangiato insieme a suo figlio Sandro.
L’operazione, che sotto ogni aspetto brilla per originalità e professionalità, ha una pluralità di significati positivi. Sotto il profilo dell’intrattenimento e della formazione i ragazzi hanno svolto un’esperienza unica ed emozionante, ma hanno dovuto superare le proprie resistenze inconsce perché si sono mossi su un terreno che per loro è nuovo. Ai benefici della formazione si è aggiunto  il focus sulla responsabilità sociale, valore indispensabile per la promozione di una sana cultura del lavoro. Inoltre è stata creata un’occasione affinché persone della stessa azienda che lavorano in sedi diverse si sono potute incontrare per mettere in comune le loro esperienze e sentirsi parte di una realtà più grande che trova modalità non banali per divulgare e tenere vivi i valori di riferimento della propria cultura aziendale. Infine la promozione di valori quali la passione e l’entusiasmo combinati col rigore metodologico di una registrazione professionale stimola la partecipazione consapevole e dimostra come sia possibile dare sostanza a concetti come employer branding o internal marketing, troppo spesso limitati a parole esibite nei luoghi che si credono opportuni (vedi la maggior parte delle convention), ma che ormai sono intimamente snobbate dalla maggior parte dei lavoratori.
Una nota finale: visto che sto scrivendo sul mio blog non riesco a non dire che la musica e il testo di Yes I Am sono opera mia (l’inserto rap è della giovane Giorgia Acciaro). Se volete fare l’acquisto e sostenere Virgin Unite recatevi presso un club Virgin Active, chiedete in reception e già che ci siete visitate la struttura: la troverete bellissima!

Franco Mussida e Piero Chiappano durante la registrazione dei cori di Yes I Am

domenica 12 dicembre 2010

Innovazione e musica popolare americana - 3

Un’ulteriore prova di rivoluzione nella continuità nella musica popolare di cultura anglosassone si può apprezzare nella gestualità simbolica di molti musicisti e acquista significato nella misura in cui non si presenta come imitazione, ma come tributo e riferimento culturale. Prendiamo il caso della chitarra elettrica suonata dietro la testa. Sono ben note le performance virtuosistiche di Jimi Hendrix: ebbene anche su internet è possibile rintracciare una foto di T-Bone Walker che risale almeno a due decenni prima in cui il seminale elettrificatore del blues si esibisce nella stessa prassi. Più di recente sarà lo sfortunato texano Stevie Ray Vaughan a rinnovare il gesto nel segno della continuità.
Sempre lo stesso Vaughan si peritò talvolta nel fumare la pipa durante le svisate in segno di tributo al suo maestro Albert King.
Vecchi filmati ci mostrano il giovane Springsteen ricordare irresistibilmente le performance on stage di James Brown e Van Morrison (pare che quest’ultimo negli anni Settanta si risentì della cosa).
La sigaretta accesa incastrata nella paletta della chitarra elettrica, gesto imitato da molti chitarristi (anche amatoriali), è ben noto come marchio di fabbrica di Eric Clapton negli anni Settanta, ma  i filmati tratti dal festival di Woodstock (1969) già ci mostrano il bassista dei Canned Heat in analoga prova.
Su Youtube circola un filmato bellissimo intitolato Origins of the Moonwalk dove si può capire senza ombra di dubbio che il lavoro coreografico di Michael Jackson, lungi dall’essere un parto individuale, corrisponde in realtà a un talentuoso riuso di materiale tradizionale (ma a proposito del moonwalk si veda anche il balletto di Charlie Chaplin mentre improvvisa in Tempi Moderni la cosiddetta “canzone senza senso”).
Lo stesso ancheggiamento di Elvis Presley non era più che l’imbiancatura di movenze tipiche degli spettacoli di piazza dei musicisti e intrattenitori di colore (forse per questo un film a suo modo storiografico come Forrest Gump imbastisce la gustosa scena in cui, ripreso di spalle, un giovane dal capello impomatato e non ancora famoso strimpella Hound Dog mentre il piccolo Forrest gli balla davanti con le gambe imbragate nei sostegni ortopedici).
Il noto segno delle corna fatto con pollice indice e mignolo, che dall’iconografia rock si è oggi esteso a cenno di saluto tra persone che si riconoscono in una precisa way of life, può essere fatto risalire a John Lennon e al film Yellow Submarine.
Per non parlare dei vari Pete Townsend, Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Paul Simonon, Ritchie Blackmore, Yngwie Malmsteen e tanti altri che hanno bruciato o sfasciato gli strumenti sul palco.
E non si può certo dimenticare il celeberrimo duck walk  di Chuck Berry, riproposto pedissequamente venti anni dopo da Angus Young degli AC/DC.
Piacciano o non piacciano, questi gesti si iscrivono in una tradizione e suonano come innovativi solo quando vengono proposti a target allargati e a nuove generazioni. Proprio in quest’ottica questi gesti possono insegnare qualcosa ai manager nei casi di riposizionamento di un brand o di una linea di prodotto. Se ci si limita a una massiccia campagna di comunicazione e promozione senza un richiamo al passato si corre il rischio sfruttare l’effetto moda e quindi di avere forti ritorni nell’immediato, ma con poca consistenza nel tempo. Non credo ad esempio che la nuova Mini, la nuova 500 e la nuova Vespa abbiano reso in base alle aspettative (sembrano già operazioni commerciali datate e Moncler e Timberland, marchi oggi tornati in auge, rischiano forse la stessa sorte), un marchio come Fred Perry invece ha saputo radicarsi potentemente nei nuovi mercati proprio perché nel selezionare target e punti vendita ha tenuto conto della sua storia.
Chuck Berry si esibisce nel duck walk, uno dei gesti più imitati della storia del rock

domenica 5 dicembre 2010

Innovazione e musica popolare americana - 2

Che gli accordi maggiori costruiti sul I, IV e V grado della scala, altrimenti detti di tonica-sottodominante-dominante, siano importanti e molto usati è cosa piuttosto nota: si ritrovano nei giri armonici che i ragazzi apprendono quando imparano a suonare la chitarra così come, variamente combinati, costituiscono il materiale delle cadenze poste in chiusura dei periodi musicali nelle composizioni di musica classica. Va inoltre ricordato che è addirittura dai tempi di Pitagora (e siamo nella Crotone del sesto secolo a.C.) che gli intervalli di ottava, quarta e quinta vengono definiti “consonanze perfette” in quanto basati su rapporti matematici semplici:1/2, 3/4, 2/3. La cosa che invece deve sorprendere è come questi principi di articolazione musicale si sono nel tempo così radicati nella memoria occidentale da costituire la base armonica di moltissime melodie, la maggior parte delle quali scritte da persone totalmente a digiuno di teoria musicale, al punto di validare la definizione di creatività data da Henry Poincaré: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”.
Studiando la tradizione possiamo apprezzare come la combinazione degli accordi maggiori di tonica-sottodominante-dominante sia assurta al livello di struttura archetipale, dimostrando l’universalità del linguaggio musicale. Seguendo l’evoluzione degli stili musicali del Novecento è assolutamente possibile rintracciare il medesimo scheletro armonico sul quale il gusto del momento e le componenti culturali, uniti all’incremento tecnologico e alle esigenze della prassi esecutiva,  hanno potuto apportare variazioni legate al ritmo, all’arrangiamento e all’intenzione canora.
Se andiamo a pescare nella tradizione popolare americana di inizio secolo, nell’immenso bacino delle composizioni anonime sature di pionieri, fuorilegge, donne fedifraghe e rivendicazioni sociali, troviamo la riproposizione dello stesso schema in worksong come John Henry e Cotton Fields, in marce religiose come When the Saints Go Marching in, in canti comunitari come Jacob’s Ladder o in lamenti d’amore come Alberta. Più avanti tutto il repertorio blues e rock’n’roll attingerà nella sua forma fondamentale alla combinazione di questi tre accordi: nel primo caso ricorrendo alla sovrapposizione in ogni accordo dell’intervallo di settima minore e alle crome  swingate (che provocano quell’effetto tipicamente sensuale di scivolamento in avanti), nel secondo facendo largo uso di ritmi martellati e dei power chords (cioè accordi suonati con due note, la tonica e la quinta dell’accordo) che rendono agile l’esecuzione e invitano irresistibilmente a muovere le gambe. Anche la musica country e il bluegrass si reggono sugli accordi maggiori di tonica, sottodominante, dominante: prendendo quasi a caso dal repertorio di Hank Williams, Johhny Cash e Bill Monroe ci si imbatte con grande probabilità in questa realtà. Non diversamente la musica folk, da Woody Guthrie a Bob Dylan, ripropone il modello in capolavori quali This Land Is Your Land, Blowin’ in the Wind, Mr Tambourine Man. Praticamente tutto il country rock e molto blues rock, ma anche l’hard rock ( basti pensare a You shook Me All Night Long degli AC/DC e all’apprendistato blues dei creatori del genere: dai Cream ai Led Zeppelin) omaggiano la tradizione e, non da ultimo, il punk (si pensi a Should I Stay or Should I Go dei Clash). Ma non ci possiamo certo dimenticare di Twist and Shout dei Beatles, di Honky Tonk Woman dei Rolling Stones o ancora di Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, giusto per citare qualche pietra miliare del rock.
In definitiva la lezione per il manager (che questa volta mi vorrà perdonare l’eccesso di teoria) deve essere questa: tutto ciò che buca il mercato in quanto considerato rivoluzionario è in realtà il frutto della riconsiderazione di quanto già assodato e soprattutto condiviso al livello di target con l’addizione di ciò che “filtra” nell’aria. Si tratta in altre parole di catturare lo spirito del tempo e di ancorarlo al frutto della tradizione: in questo modo per il consumatore sarà più facile percepire l’utilità della proposta e apprezzare lo sforzo creativo dell’azienda, che sarà percepito come una mano tesa verso i suoi bisogni.