Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

lunedì 18 febbraio 2013

Marzulleide

Anche quest’anno si è conclusa l’ignominia festivaliera, specchio di un paese in crisi di idee e originalità. Ha vinto Marco Mengoni con una canzone che inizia con parole scontate:

Sostengono gli eroi:
se il gioco si fa duro
è da giocare

rese però uniche da una voce che sembra quella di un malcapitato calato di peso su un paracarro. A seguire Elio e le Storie Tese, sempre uguali a se stessi, l’ultima sera in versione sig. Creosoto di Monty Python, con una canzone che neanche vent’anni fa avrebbe fatto la differenza. Terzi classificati i Modà con un pezzo auto celebrativo che più arcaico non si può.
Ma allora perché parlarne? Per un fatto collaterale, ma significativo: quest’anno era severamente vietato parlare male di Sanremo. Proprio come era successo l’estate scorsa con la nazionale di Cesare Prandelli, che doveva giocare bene per principio nonostante la peggior sconfitta che squadra finalista ricordi, così ora bisognava far sì che determinate certezze non fossero scalfite. Ed eccoci allora a rinsaldare l’italianità col buonismo di Fabio Fazio, la farfallona di Lucianina, il Va’ Pensiero di Giuseppe Verdi e soprattutto una RAI concorde e allineata fino al parossismo nel magnificare l’incredibile statura artistica degli interpreti e delle canzoni.
In tutto questo la mia attenzione è stata catturata dall’atteggiamento di Gigi Marzullo, grande orchestratore di una specie di dopo-festival in cui tutti gli intervistati sembravano esaltati dallo spettacolo a cui avevano da poco assistito.


E pensare che lo stesso Marzullo presenta ogni sabato notte uno spettacolo di critica cinematografica in cui i giornalisti massacrano a colpi di bazooka tanto i filmacci quanto i capolavori.
Cosa c’è di strano in tutto questo? Beh, che Marzullo non dice mai come la pensa, anzi, si guarda bene dal far anche solo vagamente trapelare se apprezza o se detesta, insomma: presentator non porta pena.
La figura di Marzullo diventa quindi centrale per capire come si fa a sopravvivere professionalmente in Italia e insegna ai manager d’azienda la prudente virtù dell’ignavia.
Dopotutto, tra il passacarte e il passamicrofono che differenza c’è? Nessuna, soprattutto se ti crei un’immagine da sfigato a cui nessuno vorrebbe assomigliare. Capelli assurdi, occhiali assurdi, espressione assurda: Marzullo è a suo modo un eroe, anche lui seduto su un paracarro…