Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

mercoledì 28 marzo 2012

La magica riforma del lavoro

Il bailamme scatenato intorno alla prossima riforma del lavoro ha permesso agli italiani di familiarizzare, seppur in modo confuso, coi termini tecnici del diritto giuslavoristico: apprendistato, articolo 18, assicurazione sociale per l’impiego, giusta causa, discriminazione, ecc.
Le battaglie di principio, le rendite di posizione, il protagonismo politico hanno però condizionato il dibattito mediatico al punto da impedire ai non addetti ai lavori una disamina oggettiva delle posizioni in campo.
Ciò che si può osservare a grandi linee e senza timore di polemica è che agevolare (qualunque siano i paletti definitivi della riforma) la dismissione delle risorse umane dalle aziende non solo non ha nulla a che fare con la creazione di altri posti di lavoro (se posso licenziare per poter assumere, al limite il conto si azzera e in ogni caso non sale), ma si dimostra un ragionamento a tavolino, da biblioteca, incurante di una specifica realtà italiana che, a differenza di altre nazioni europee di cui si vuole imitare il modello, soffre di una grave malattia: l’assenza di meritocrazia.
È prassi comune nelle grandi aziende, una volta uscite dalle fasi di start up e consolidamento, livellare verso il basso le competenze medie delle risorse umane per tenerle in scacco (leggi: precariato esistenziale)  attraverso un meccanismo bipolare che non è quello dell’efficiente / inefficiente e nemmeno quello del produttivo / improduttivo, ma quello del molto più svilente utile / inutile. Ma, attenzione, utile / inutile per chi? Forse per “il bene dell’azienda”? No, e neanche dell’azionista. Più semplicemente: per il manager che sta sopra l’impiegato.
La meritocrazia in Italia si riduce a questo: compiacere il capo. Se si condivide questa lettura si fa presto a capire che, prima di parlare di licenziamenti a raffica di operari cinquantenni (con conseguente ricaduta macroeconomica spaventosa), bisognerebbe parlare del destino di quei manager che hanno stabilito di impiegare i suddetti operai in linee di produzione ronzinanti. Che colpa ne ha Cipputi se il suo stabilimento viene destinato alla produzione di un’automobile talmente brutta e senza appeal di mercato che nessuno comprerà mai?
Ecco, in questo caso la riforma del lavoro non agirebbe sulla causa (cioè la rimozione del manager delegato alla strategia), ma sugli strumenti della causa (gli operai) che hanno avuto la solo colpa di eseguire decisioni altrui. Insomma, il vero responsabile non paga mai, anzi spesso con una mano partecipa alla distribuzione dei dividendi mentre con l’altra schiaccia i bottoni che nel giro di qualche anno manderanno a puttane l’azienda.
Quando si parla di mercato del lavoro, dovrebbe essere chiaro che di casta sentenziante non c’è solo quella dei politici, ma anche quella, più furbescamente defilata, dei manager d’azienda. I quali, diciamolo francamente, hanno come principale e a volte unico obiettivo perpetuare i loro privilegi, alla faccia di azionisti, dipendenti, clienti (e il sistema glielo consente!).
Non si è mai vista una squadra di calcio non performante in cui l’allenatore può cacciare tutti i giocatori “per motivi economici” e rimanere saldo al suo posto sine die, col presidente che mette i soldi e lascia fare. Eppure, è proprio quello che nelle aziende già accade e ancor più facilmente potrebbe accadere.
Siamo seri: prima di riformare il lavoro, si riformino le aziende.


Viviamo in un mondo di specchi deformanti, di giochi di prestigio maldestri, di sorrisi protesici, dove la cosa più vera in cui capita d’imbattersi è la tintura dei capelli di gente con poca vergogna e niente dignità.
Bruce Springsteen non ha usato mezze misure quando nel 2007 in Magic ha scritto:

      Non fidarti di quello che senti
      E ancor meno di quello che vedi

Per concludere così:

      Il sole sta calando sulla strada
      Mentre corpi pendono dagli alberi
      Questo è quello che sarà
      Questo è quello che sarà.

Àscari benpensanti aziendalmente corretti astenersi, grazie.

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