Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

lunedì 21 febbraio 2011

Chiamami ancora amore - Roberto Vecchioni

Un caro amico appassionato di buona musica la scorsa settimana ha messo in condivisione su Facebook un dubbio che lo lacerava da tempo: “Perché esiste ancora Sanremo?”. Domanda lecita se analizzata alla luce della retorica canzonettara, dell’anacronismo musicale, dell’inconsistenza testuale, dell’inoffensività culturale, dell’improbabilità dei capelli tinti e dei look da strapaese che sfumano le differenze tra cantanti, presentatori, ospiti e comprimari. Sta di fatto che, dopo tre scandalosi anni in cui l’inutilità più insolente ha trionfato grazie a vessilliferi impareggiabili quali Valerio Scanu, Marco Carta, Lola Ponce & Giò di Tonno (ma questi dove sono finiti? Roba da far rimpiangere i Jalisse…),  ecco che la risposta è arrivata. Ci ha pensato un uomo di 67 anni, Roberto Vecchioni, con Chiamami ancora amore,  una canzone dal messaggio universale, che rinuncia al minimalismo tipico delle nuove generazioni per parlare addirittura alla coscienza di un popolo e in meno di 4 minuti ci ripaga di tutte le umiliazioni inferteci dal malinteso concetto di nazional-popolare.
Chiamami ancora amore elenca una serie di cose che proprio non vanno (dalla crisi economica, alle guerre preventive, all’immoralità del pensiero unico) e fanno ancora più male se dopo sette decenni di vita si ha la sensazione di non essere mai scesi così in basso. La soluzione? Difendere «questa umanità che è così vera in ogni uomo», continuare a «scrivere la vita tra il silenzio e il tuono» e riconoscersi nella forza delle idee

perché le idee sono come farfalle
che non puoi togliergli le ali
perché le idee sono come le stelle
che non le spengono i temporali
perché le idee sono voci di madre
che credevamo di avere perso,
e sono come il sorriso di Dio
in questo sputo di universo.

Vecchioni descrive con lucida amarezza il mondo che lo circonda e la società in cui vive, ma non si discosta molto dall’esperienza quotidiana di tanti manager, costretti al conflitto tra la coerenza di un pensiero civile e la flessibilità carpiata di molte compagini aziendali, che mutano accento a ogni colpo di tosse degli azionisti e sottomettono il talento alla soggettività estrema di tante valutazioni della performance, promuovendo il cinismo di chi pensa per sé e coltiva la propria carriera e il proprio spazio vitale come se non ci fosse niente di più costruttivo. Vecchioni ripropone a voce spiegata, come un oratore d’altri tempi, il senso necessariamente comunitario dell’esperienza di vita e porta l’uomo a riflettere sulla sua responsabilità nell’essere l’unico vero protagonista dei processi di trasformazione sociale e così

questa maledetta notte
dovrà pur finire,
perché la riempiremo noi da qui
di musica e di parole.


Chiamami ancora amore è un manifesto programmatico, un documento di resistenza intellettuale, ma soprattutto una dichiarazione d’amore per quella creatura sempre più piccola, ma ancora così preziosa che si chiama uomo. E se per dire queste cose a 11 milioni di persone per 5 sere di seguito è necessario il festival di Sanremo, personalmente sono anche disposto a sopportare qualche Albano di troppo.
Questa canzone resterà a ulteriore conferma che la poesia in musica non conosce steccati né di classe né di ruolo.

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