Il blog di
Piero Chiappano


Ispirato a una canzone di Bruce Springsteen, Land of Hope and Dreams, questo spazio sostiene che sono la speranza e i sogni a guidare le azioni degli uomini. Chi dice che siano i soldi ha solamente vissuto male una sconfitta.
Questo spazio è dedicato al mondo del lavoro, di cui approfondisce limiti, potenzialità, contraddizioni e utilizza come chiave di lettura la musica, che diventa metafora di accesso all'autoformazione e alla consapevolezza di sé.

Land of Hope and Dreams

"This train carries saints and sinners, this train carries loosers and winners,
this train carries whores and gamblers, this train carries lost souls..."

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (2001)

lunedì 8 aprile 2013

Ricordo di Enzo Jannacci

Verso la fine degli anni Ottanta, c’era un negozio in Via Marghera a Milano dove potevi comprare una t-shirt e farci dipingere sopra una scritta. Ricordo di averne comprata una verde sulla quale feci scrivere:

Poveri cantautori, non ci han dato il permesso neanche i suoi genitori!

Una frase un po’ sconnessa di Enzo Jannacci, artista poliedrico e uomo di cui proprio in quegli anni cominciavo ad apprezzare la grandezza.



L’arte di Jannacci parte da lontano e si forma in un’epoca in cui scopo della canzone d’autore era quello di raccontare la vita, possibilmente prendendola dal basso. Enzo vi aggiunge con originalità una robusta dose di ironia surreale, facendo della musica un supporto essenziale per testi che invitano sempre alla riflessione.
L’assurdo, il paradossale, il grottesco, sono la sua firma d’autore, spesso sottolineati da un’espressività paradialettale milanese nonché intonati con partner di rango come Giorgio Gaber e Dario Fo.
Dagli sketch musicali venati di tragicomica malinconia tipici degli anni Sessanta e Settanta (sostenuti da apparizioni cinematografiche, vedi La vita agra di Carlo Lizzani, e importantissime incursioni nel cabaret, con Jannacci “ostetrico” di tanti talenti del Derby di Milano) ai temi di denuncia sociale il passo è breve e così negli anni Ottanta, grazie a due fortunate apparizioni a Sanremo con canzoni sulla droga e sulla mafia (rispettivamente Se me lo dicevi prima e La fotografia), il cantautore arriva a toccare il cuore (lui, cardiologo affermato, già in équipe con Christiaan Barnard) dell’Italia intera.
Di una sua canzone, Faceva il palo, scritta insieme a Walter Valdi, ho parlato nel mio libro Manager Songbook, come metafora musicale delle attività di recruiting, ma ci sono anche altre canzoni di Enzo che possono servire per introdurre temi chiave del mondo del lavoro.
Vengo anch’io. No, tu no parla del mobbing inteso come esclusione ed emarginazione.
Ci vuole orecchio sottolinea la capacità di sintonizzarsi sul giusto ritmo dettato dall’ambiente di lavoro (il mitico ascolto sottile).
Son s’cioppàa descrive la fenomenologia del burn-out lavorativo ed esistenziale.
L’importante è esagerare ironizza sullo yuppismo qualunquistico e italiota, che promuove la forma e annulla la sostanza.
Vincenzina e la fabbrica, uno dei suoi capolavori, anticipa di qualche anno Factory di Bruce Springsteen e parla della mancanza di senso e del vuoto di vita che produce il lavoro serializzato.
Ma è con Quelli che…, scritta in collaborazione con Beppe Viola, superbo esercizio di stile che narra una collezione di umane mediocrità, che Jannacci arriva a sfidare la gente comune, rilevando come per molti il lavoro sia solo una delle tante occasioni perdute per migliorare se stessi:

Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli, non hanno ancora finito e non sanno che cavolo fanno, oh yes!

Cantata da una persona che ha fatto di due lavori un’unica missione di vita (l’ho già detto: quella di “toccare il cuore”), frasi come questa costituiscono un’eredità di pensiero e azione, un invito a non lasciarsi guidare dal conformismo e dalla superficialità, il cui testimone va assolutamente raccolto, interpretato e divulgato.

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