Il muro del suono
è una canzone tratta da Mondovisione
(2013) che racconta della necessità di contrapporsi a un sistema
autodistruttivo. La resa del messaggio risulta particolarmente efficace se alla
canzone si associa il videoclip ufficiale.
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Ligabue e la band nelle officine reggiane |
Qui la band del Liga suona all’interno di una fabbrica
dismessa (le officine reggiane) ridotta a poco meno che macerie e detriti. Nel
disordine, nella polvere, nella desolazione, nelle scartoffie dimenticate chi
guarda può ripercorrere con la fantasia il tempo in cui quel luogo era vivo e
operoso, aiutato da alcune sovrimpressioni che segnalano a cosa gli ambienti
erano in origine preposti: fonderia, officina, catena di montaggio, uffici,
risorse umane, sala riunione, direzione generale. E non è possibile non provare
un senso di commiserazione per ciò che fu.
Il testo a questo punto risulta più chiaro e barricadiero:
siamo vittime di un sistema economico che si alimenta della propria
autodistruzione, traendo profitto non dalla produzione, ma dalla speculazione.
Contano i titoli azionari, non i prodotti; la qualità e la quantità di lavoro
(intellettuale o manuale) che un manufatto porta con sé sono solo pretesti
necessari per avvalorare operazioni finanziarie transnazionali. Non c’è più
interesse per la trasformazione, la riattualizzazione, la riconversione. Meglio
buttare via tutto e risorgere sotto altra forma, altri marchi, altri sorrisi
splendenti.
Peccato che per tutto questo, e cioè per la soddisfazione di
pochi, il prezzo da pagare sia sempre più alto, offensivamente alto,
maledettamente alto, e cioè la condizione esistenziale sempre più precaria di
milioni di lavoratori: ostaggi di un banditismo imprenditoriale che non ha
nemmeno più l’interesse a scambiarli o riqualificarli, ma preferisce
incorporarli al destino della fabbrica una volta esaurita la loro funzione
storica (un po’ come se gli antichi egizi, una volta terminata una piramide, vi
avessero murato dentro gli schiavi utilizzati per costruirla).
Il testo di Ligabue porta a chiedersi che cosa si può fare
per non essere così drammaticamente complici. In particolare l’amletica
questione diventa il cruccio dei manager. Oggi le carriere, anche
dirigenziali, sembrano sempre più
mandati a termine, contratti a progetto, con obiettivi di corto respiro. Vale
ancora la pena investire così tanto in autoformazione per poi ridursi a
eseguire ordini totalmente decontestualizzati dalla realtà sociale? Quando
torniamo a casa dalle nostre famiglie, con quanta sporcizia sulle mani
accarezziamo il volto dei nostri figli? Con quanto veleno in gola baciamo i
nostri cari? Cosa ce ne facciamo del nostro prestigio e della nostra
retribuzione quando spegniamo la luce e cerchiamo di prendere sonno? Siamo
manager o mercenari?
Questa è la sottotraccia di Il muro del suono.
Il video mette in evidenza alcune scritte che compaiono in
stile graffito sui muri della fabbrica dismessa:
- Defibrillatore culturale. Energia da storia arte e lotta
- Mi fa male la memoria a breve termine
- Pensiero
- Solo questione di prospettive
- Coincidenza un cazzo
- Scusa! Ma è un mondo di scuse
Sono come rapide annotazioni sul taccuino del cervello, ma
estremamente potenti perché hanno il valore di attivatori di scintille che
illuminano una convinzione pronta a farsi comportamento e a renderci più forti
nel metterci contro la tentazione che tanto è così e niente si può fare.